UN INCONTRO SULL’EDITORIA CATTOLICA
EDITORIE RELIGIOSI
Una quindicina di istituti religiosi italiani, spagnoli, francesi impegnati nell’editoria cattolica si sono confrontati. Determinante il loro contributo nel rinnovamento teologico, pastorale, catecheticopost-conciliare.
I responsabili di alcune fra le più grandi editrici cattoliche italiane, spagnole e francesi, si sono ritrovati a Roma, a fine gennaio, per condividere esperienze, difficoltà, prospettive in un settore da sempre particolarmente complesso.
Per il secondo anno l’unione dei superiori generali si è provata a riunire attorno a un tavolo un gruppo di persone che hanno in comune, oltre la loro specifica attività editoriale, anche l’appartenenza a un istituto religioso.1 Non si può passare sotto silenzio, ad esempio, il fatto che in Italia, su 48 editrici iscritte all’unione editori e librai cattolici italiani, 13 sono una emanazione diretta di una congregazione religiosa .
Non era nelle intenzioni immediate né degli organizzatori né dei partecipanti arrivare a impegnative conclusioni operative. Ma già il semplice fatto di ritrovarsi insieme per un confronto diretto sui punti nodali dell’editoria cattolica gestita dai religiosi in Italia, in Francia, in Spagna, è un traguardo di assoluto rispetto. Se siamo abituati ormai da tempo al dibattito più coraggioso e aperto nelle assemblee dei superiori maggiori, generali e provinciali, sui temi più scottanti della “rifondazione” della vita religiosa, finora non è mai stato affrontato, a questi livelli, il problema dell’editoria cattolica; anzitutto perché, per quanto numerosi possano essere, gli istituti religiosi direttamente coinvolti in questo campo, non sono certo la maggioranza; inoltre, la mancata percezione della enorme importanza di un problema come questo ha una spiegazione ancora più semplice: sono pochi i superiori maggiori che hanno alle spalle una diretta esperienza e una competenza professionale in campo editoriale; raccordare allora le esigenze di una vita religiosa rinnovata o “rifondata” con quelle di un’attività aziendale, in troppi casi rischia di diventare un problema nel problema.
UN APOSTOLATO
“DI FRONTIERA”
A Roma non ci si è limitati ad elencare i possibili temi di un confronto con i propri superiori; si è andati più a fondo, consapevoli di muoversi, oggi più che mai, in un settore, come è stato ripetutamente affermato, “di frontiera”. In un mondo sempre più globalizzato, la comunicazione sociale, in tutte le sue articolazioni, e non solo quindi in quella della carta stampata, gioca un ruolo determinante. In un contesto come quello editoriale nel quale le “grandi catene”, i “grandi gruppi” stanno assorbendo tutte le realtà più piccole e intermedie, anche le editrici cattoliche, è stato detto, prima o poi dovranno decidersi a trovare delle strategie di collaborazione, dal momento progettuale di un prodotto a quello della sua promozione e della sua diffusione. Se, come ha detto il presidente, un laico, dell’editrice cattolica Bayard, a cui fa capo, fra l’altro anche il quotidiano La Croix, stiamo assistendo alla nascita di una cultura mondiale; se il problema più grosso oggi è quello della propria indipendenza di fronte al rischio incombente della omogeneizzazione anche nel campo editoriale; se tutti, sotto il diktat dell’audience corrono il rischio di dire le stesse cose, allora proprio le editrici cattoliche devono saper prendere tutto il tempo necessario per “pensare” il modo di essere significative nelle loro proposte; devono saper correre il rischio “folle”, in un tempo come il nostro, di una “stampa di convinzione”. Saper discernere l’essenziale dall’effimero, avere e saper proporre una visione etica della realtà, saper coniugare la verità con la libertà, in un contesto per altro di «diffusa crisi di confidenza dei cattolici nei confronti della gerarchia», sono alcuni degli obiettivi che il gruppo Bayard sta perseguendo con convinzione da tempo.
Sulla importanza e la difficoltà insieme di coniugare praticamente la verità con la libertà nel campo editoriale, don Silvio Sassi, responsabile delle edizioni San Paolo, ha osservato che l’impegno, la professionalità, il contributo degli istituti religiosi nel costruire una opinione pubblica nella Chiesa e nella società «hanno sempre camminato e sono stati spesso stimolati proprio dagli interventi del Magistero nel campo della comunicazione sociale»; quante volte, però, «si ha l’impressione che i contenuti di questi interventi non vengano tenuti in debito conto nella comunità ecclesiale». Di fronte all’impegno continuo di inserire la propria attività editoriale nella programmazione pastorale della Chiesa universale, nazionale e locale, cosa si deve pensare, si è chiesto, «di certi tentativi di “addomesticamento”, di certi “interventi” presso i superiori maggiori, del desiderio di una specie di verifica “preventiva” del contenuto di certi articoli e di certe pubblicazioni?»; che dire, ancora, di una «diffusa e malcelata richiesta di uniformità e unanimità» anche su argomenti di attualità non necessariamente inerenti il campo del dogma e della morale?
Fino a che punto è corretto pretendere nella stesura di un articolo, necessariamente limitato nelle sue argomentazioni, la riproposta sistematica, ogni volta, della “totalità” del Credo? Certe attività apostoliche gestite dai religiosi sono sempre state “di frontiera” anche nel tentativo di raggiungere i cosiddetti “lontani”, una categoria di persone per certi versi privilegiata nel contesto dei ricorrenti discorsi sulla nuova evangelizzazione; ma qual è il margine di “esposizione” in questo campo? «Non si può sempre dire che questi lontani sono i destinatari privilegiati della Chiesa senza rischiare mezzi e contenuti originali».
Che dire ancora di certe “etichette” con le quali viene pregiudizialmente classificata, sia all’interno di una comunità ecclesiale che sul versante laico, l’attività editoriale di alcuni istituti religiosi? Quante volte la gente, compresi a volte i “colleghi di lavoro” sia nel mondo laico che ecclesiale, ha detto don Sassi, «vive spesso un “immaginario” nei confronti delle attività editoriali cattoliche lontanissimo dalla realtà». Se anche e soprattutto il mondo della comunicazione sociale è in continua evoluzione, oggi non basta più gestire l’esistente, accontentarsi di quanto è già stato fatto; bisogna «fare i conti con le innovazioni e con gli investimenti per un mercato che chiede il rinnovamento continuo. Ogni monopolio è pericoloso anche se per un certo periodo sembra una formula vincente»; la diversificazione del prodotto, la consapevolezza che i nostri “padroni” sono i lettori stessi, e quindi la capacità di creare un legame di reciproca fedeltà con i destinatari del nostro prodotto, per un paolino, ma non solo per lui, non poteva non essere se non il modo più attuale nel “farsi tutto a tutti” tipico di San Paolo. Si dimentica troppo facilmente, ha precisato don Sassi, che un’attività di questo genere ha dei risvolti ben precisi e inderogabili nel campo della legislazione civile vigente; «non è facile far comprendere, a questo riguardo, l’esigenza di una “inculturazione” manageriale e imprenditoriale vera e propria, non immediatamente codificabile con i tradizionali parametri della vita comunitaria e della formazione religiosa».
DUE LOGICHE
DIVERSE
Nell’incontro romano più volte è stata richiamato un dato di fatto incontrovertibile: il rinnovamento teologico post-conciliare, in Italia, in gran parte, è passato e sta passando ancora oggi attraverso l’attività editoriale di alcuni istituti religiosi; anche la catechesi, il rinnovamento della pastorale, la liturgia, la pastorale biblica ecc. sono tutti dei percorsi aperti in gran parte proprio dai religiosi. Se «dire teologia significa dire Chiesa che pensa, ha osservato il direttore delle edizioni dehoniane, padre Alfio Filippi, il pensiero teologico postconciliare nel nostro paese ha avuto visibilità e ha trovato il suo punto di riferimento nelle editrici cattoliche dei religiosi».
In un’attività editoriale, anche di non grandi dimensioni, è oggi impensabile per dei religiosi operare da soli; il diretto coinvolgimento di collaboratori laici, anche ai più alti livelli di responsabilità, è oggi un passaggio obbligato; non è solo una questione di invecchiamento dei religiosi da una parte e di scarsità di vocazioni dall’altra; è prima ancora una inderogabile esigenza per chi intende rimanere sul mercato con la competenza e la professionalità necessarie.
Ma a quali conseguenze può portare, di fatto, questa convivenza del laico accanto al religioso in un’azienda editoriale? È forse una delle prime volte che, nell’incontro di Roma, si è cercato di formalizzare una risposta. È stata proprio la presenza dei laici in tante aziende editoriali dei religiosi a far emergere la consapevolezza di due “logiche diverse”, quella della vita religiosa da una parte e quella aziendale dall’altra.
Sono due logiche diverse non solo nella loro configurazione giuridica e fiscale, ma anche nelle loro conseguenze economiche; «soprattutto nei superiori che non hanno esperienza di attività editoriale, ha detto p. Filippi, la logica della separatezza facilmente si sommerà in negativo con la disinformazione su cosa significa essere in un’attività produttiva e commerciale, con rilevanti problemi di gestione».
Si tratta di due logiche diverse anche in certi meccanismi che stanno alla base della vita religiosa, da una parte, e di una produzione aziendale dall’altra. Mentre i processi decisionali nella vita religiosa sono “lentissimi”, quelli aziendali hanno un ritmo ben più immediato; le competenze, ad esempio di spesa o di mobilità del personale, nella vita religiosa hanno dei limiti “inimmaginabili” in un’azienda (dai prestiti agevolati previsti dalla legge sull’editoria, alle fideiussioni ecc.). Anche i programmi di produzione e di spesa, di verifica sistematica sulla loro attuazione o meno tipici di un’azienda non hanno alcun corrispettivo nella vita religiosa.
Un superiore generale, un superiore provinciale, un vescovo «non viene scelto in base ad un programma e di conseguenza non è obbligato ad alcun consuntivo pubblico»; il resoconto a consuntivo, infatti, pensato in riferimento a un programma di attività sul quale ci si impegna in modo pubblico, è un concetto assente nel diritto e nel costume ecclesiastico e religioso; i vescovi, i superiori, i parroci cambiano e scadono «e non c’è mai un resoconto sul loro operato»; in altre parole, manca una “assunzione di responsabilità” su un programma definito all’inizio di un incarico ecclesiastico o religioso, e manca poi conseguentemente anche una verifica sull’attuazione al momento finale.
Quante volte al termine di un episcopato o di un superiorato, ha aggiunto ancora il direttore delle edizioni dehoniane, «cala il più assoluto silenzio, senza conseguenza alcuna, indipendentemente dalla “intensità” o dalla “insignificanza” sul piano dell’animazione pastorale e religiosa con cui sia l’uno che l’altro possono essere stati vissuti». In un’azienda invece il bilancio viene votato per legge e i risultati portano a delle precise conseguenze. Anche le cariche stesse, mentre nella vita religiosa hanno una loro legittimazione in forza dell’obbedienza, in un’azienda sono invece legittimate dalla professionalità e della competenza; «l’obbedienza e la competenza, ha detto Filippi, rappresentano una dialettica particolarmente grave negli istituti in cui il superiore religioso è ipso facto anche responsabile dell’azienda».
Mentre la vita religiosa è strutturata con ampi spazi di libertà nella gestione sia dell’orario che del calendario, in un’azienda l’orario è “retribuzione”; ora se la logica religiosa resta o diventa determinante nella vita dell’azienda, la collaborazione dei laici è “problematica” e l’azienda si trova inevitabilmente “anchilosata” nella sua capacità operativa; volenti o nolenti, ha concluso a questo riguardo Filippi «la collaborazione con i laici significa prima di tutto accettare la logica laica dell’azienda».
L’unica conclusione operativa di questo incontro è praticamente quella di ritrovarsi ancora, aprendosi possibilmente ad interlocutori anche di altre aree geografiche e restringendo il ventaglio degli argomenti da sottoporre alla riflessione comune. Il rapporto “carisma-attività editoriale”, le “due logiche” a cui deve far fronte un istituto religioso impegnato nell’editoria, la presenza sempre più consistente dei laici, la sensibilizzazione dei superiori maggiori a tutte queste problematiche, la preoccupante carenza di “autori” significativi oggi nell’editoria cattolica italiana, sono solo alcuni dei tanti problemi che attendono con urgenza una risposta e un più adeguato approfondimento.
Angelo Arrighini
1Questi i gruppi editoriali rappresentati al convegno: San Paolo, Paoline, Dehoniane, LDC, Ancora, EMI, Ed. OCD, Lipa, Sigueme, Ediciones SM-PPC, Ed. Claret, Ed. Mensajero, Bayard Press, Ed. Monte Carmelo, Ed. Verbo Divino.