MINORI CONVENTUALI PROVINCIA PATAVINA

NEL MONDOPRESENZA DI CARITÀ

 

Nella Lettera per la Quaresima francescana, il superiore provinciale indica alcune linee guida da compiersi per il cammino presente e futuro sollecitando, ciascun frate e ogni fraternità, ad una presenza sempre più significativa a servizio del regno di Dio.

 

Nella parte iniziale dell’istruzione Ripartire da Cristo si legge: «Certamente i drammatici avvenimenti del mondo di questi ultimi anni hanno imposto ai popoli nuovi e più pesanti interrogativi che si sono sommati a quelli già presenti, sorti in rapporto all’orientamento di una società globalizzata, ambivalente nella realtà, nella quale non si sono globalizzate solo tecnologia ed economia, ma anche insicurezza e paura, criminalità e violenza, ingiustizie e guerre. In questa situazione le persone consacrate sono chiamate dallo Spirito a una costante conversione per dare nuova forza alla dimensione profetica della loro vocazione».

Da queste parole prende lo spunto la recente Lettera per la quaresima francescana scritta dal ministro provinciale, p. Luciano Fanin, della provincia “pataviana di sant’Antonio” dei frati minori conventuali, per continuare ad accompagnare il cammino della fraternità provinciale all’inizio del secondo anno del programma quadriennale 2001-2005.1

La quaresima francescana, detta anche di avvento, è una delle cinque quaresime presenti nella tradizione francescana che si colloca tra la festa di tutti i santi e il Natale. La lettera attira l’attenzione sul tema della presenza francescana della carità di Cristo nel mondo per dare ad esso ancor maggiore visibilità.

Padre Fanin richiama a questo scopo alcuni capisaldi della vita consacrata per un invito a «camminare generosamente sulle orme di Cristo», in particolare: il coraggio di affrontare le prove e le nuove sfide; il primato della vita spirituale e la testimonianza dell’amore.

 

CONFIGURARSI

A CRISTO CROCIFISSO

 

Per cercare di trovare una risposta a queste esigenze, il padre parte dall’immagine del saio francescano da «cucire pazientemente assieme». Egli intravede «nell’auspicata presenza della carità di Cristo nel mondo la parte centrale del vestito francescano, ossia la tonaca a forma di croce; nel coraggio di affrontare le sfide attuali, la corda che cinge i fianchi; nel primo posto da dare alla vita spirituale, il cuore del nostro abito di consacrati, reso visibile dallo stesso cappuccio; nella testimonianza dell’amore, i sandali del frate pellegrino, pronto e disponibile all’annuncio». Aspetti questi che sviluppa ulteriormente per aiutare il singolo frate, le comunità e l’intera provincia, a essere sempre di più riflesso concreto dell’agire di Gesù. È importante – scrive «dare visibilità ad una presenza francescana della carità di Cristo nel mondo. Questo volto può essere evidenziato dall’abito a forma di croce, voluto da san Francesco per sé e per i frati, al fine di mostrare meglio, e quindi anche esteriormente, la configurazione a Cristo crocifisso».

Solo a partire da questa configurazione a Cristo crocifisso si possono trovare risposte, strade, percorsi, forza e soprattutto «coraggio per affrontare le nuove sfide». Questo coraggio viene simboleggiato dalla “corda” che cinge i fianchi del frate e che richiama l’esperienza spirituale e vocazionale di Francesco il quale, come racconta san Bonaventura, dopo l’ascolto del Vangelo rivolto ai discepoli, intuisce che deve vivere un nuovo esodo, la vera povertà evangelica, per questo «butta via la cintura e la sostituisce con una corda». Diventa importante allora per ciascun discepolo di Francesco «cingersi i fianchi per rendere il viaggio più agevole, sapendo che il deserto che l’attende – come per il popolo della prima promessa – ha in serbo sorprese e numerose prove, di fronte alle quali è importante essere già pronti».

Nessun discepolo, nessun battezzato, e neppure nessun consacrato è esente da fatiche, prove, difficoltà che oggi, più che mai, pongono non pochi interrogativi anche di fronte alle nuove e innumerevoli sfide e prove con cui siamo chiamati a fare i conti. L’esperienza di san Francesco in questo è maestra: le fatiche non gli sono mancate, le tribolazioni neppure, il peso della croce assunto pienamente è diventato per lui «occasione propizia per una nuova partenza, seme di speranza nuova e ritrovato coraggio» per conformarsi sempre di più a Cristo crocifisso. Ciò che è importante – scrive p. Fanin – è scoprire «il tarlo o i nuovi tarli che intaccano e consumano il saio francescano». Sono «l’affievolirsi del senso e della qualità della vita consacrata; il prendere piede nella vita spirituale della mediocrità e di un graduale imborghesimento; il porre attenzione principalmente alla complessa conduzione delle opere, correndo il rischio di offuscare l’originalità della vita evangelica e indebolire le motivazioni spirituali; dare la preferenza ai progetti personali, intaccando profondamente la comunione nella fraternità; rinunciare o ridurre al minimo – come superiori – la propria missione di animazione, di aiuto fraterno e di dialogo; dimenticare di guardare alla formazione permanente come alla grande sfida attuale, che ingloba tutte le altre, quale impegno indispensabile per giungere ad una progressiva assimilazione dei sentimenti di Cristo e per essere sempre più idonei ad inserirsi in una realtà che cambia in continuazione».

Sono questi oggi i “tarli” più pericolosi e più insidiosi nella vita del singolo consacrato, della fraternità, che un po’ alla volta contagiano anche l’intero istituto di appartenenza ed è per questo che bisogna vigilare attentamente perché basta davvero poco per cadere in un aridità spirituale, in un pressappochismo, in un individualismo esagerato, in un graduale imborghesimento e le conseguenze a questo stile di vita possono diventare deleterie per tutti. Allora la vigilanza non è mai troppa, né da parte del singolo consacrato, né da parte dei superiori per non cadere in quei circoli viziosi così dannosi alla vitalità della Chiesa.

 

IL PRIMATO

ALLA VITA SPIRITUALE

 

Quale può essere allora il punto di partenza per riconoscere i “tarli” che intaccano e consumano il saio francescano? Ciò che è indispensabile è dare il primato alla vita spirituale «assumendola come difesa e scudo nel combattimento con le forze avverse». Anche in questo aspetto san Francesco ha molto da dirci e da insegnarci: senza una vita christiforme risulta molto difficile rispondere a Dio che chiama a seguirlo per una missione d’amore nella Chiesa e nel mondo. Per il padre serafico il cappuccio che indossava non era semplicemente il mezzo per proteggersi dalle intemperie, ma «una “piccola cella” dove ripararsi e trovare la quiete dell’anima. Era il luogo dove pregare, quando la situazione non permetteva qualcosa di meglio. Invitava ad andare in profondità, ad entrare nella “cella del cuore”, dove preghiera e contemplazione possono divenire ascolto e accoglienza della parola». Citando ancora Ripartire da Cristo al n.25, p. Fanin ribadisce con una certa forza che «senza una vita interiore di amore che attira a sé il Verbo, il Padre, lo Spirito non può esserci sguardo di fede; di conseguenza la propria vita perde gradatamente senso, il volto di Cristo, gli avvenimenti della storia rimangono ambigui quando non privi di speranza, la missione apostolica e caritativa decade in attività dispersiva».

Una volta indossata la tunica, cinti i fianchi, alimentata la vita nello spirito, ora – dice il provinciale – il frate è pronto per testimoniare l’amore. «Si pone ai piedi i sandali, e così idealmente e concretamente è pronto per l’annuncio del Regno. Ed è così che san Francesco sognava i suoi frati: non nel chiuso di un convento, ma pellegrini della carità e dell’amore sulle vie del mondo».

Questo impegno nel vivere la missione deve coinvolgere il singolo, ma anche la fraternità nella quale il singolo frate si trova a vivere per una risposta sempre più autentica alla vocazione ricevuta; la fraternità diventa così una delle priorità a cui dare particolare attenzione e dove si dovrà, in questi anni «chiarire e ribadire la sua stessa identità, il suo “volto”, per portarlo ad essere il luogo dove si possa mettere al primo posto la vita di preghiera ed una condivisione di essa in modo sufficientemente visibile; luogo dove i momenti di vita comune possano avvenire con adeguata regolarità e siano sentiti da ogni frate come importanti e costruttivi; luogo dove si sperimenta la gioia di vivere la nostra vocazione, luogo dove i pesi inevitabili dovuti alla differenza di carattere, stile, età, formazione sono vissuti come croce che purifica le motivazioni del nostro vivere insieme». Per questo si parla di fraternità in formazione: la fraternità non si edifica da sola, non si costruisce da sola, non è una realtà già data, ma la sua edificazione dipende dall’impegno di ciascun membro, solo se ciascuno si impegna ad aggiungere pietra su pietra si può «innalzare e consolidare l’unità e la concordia». Le fraternità hanno assunto oggi nuove fisionomie sia per la diminuzione di frati sia come disponibilità di nuove forze giovani e/o meno giovani; questo aspetto porta a «ripensare la composizione delle comunità, mettendo al primo posto alcuni valori».

 

OBIETTIVI

E MEZZI

 

Se la fraternità è il luogo privilegiato per ciascun frate dove mettere a frutto il carisma ricevuto è bene tendere a degli obiettivi che meglio aiutino e sostengano il cammino personale e comunitario verso una piena realizzazione della vocazione ricevuta. Il progetto provinciale indica cinque obiettivi a cui tendere per il cammino presente e futuro: innanzitutto la formazione permanente per uno stile evangelico. La sequela all’unico Maestro richiede una continua conversione del cuore per vivere la radicalità al Vangelo; cammino questo che non è mai concluso e che a volte si presenta come pieno di sorprese e che richiede un continuo allenamento. Per facilitare tutto questo uno dei mezzi suggeriti è «l’ascolto della Parola e il recupero in comunità di frati isolati e in difficoltà».

Un secondo obiettivo è la fraternità come primo luogo di formazione permanente. A volte capita che la fraternità è l’ultimo posto che si cerca per ritrovare un certo equilibrio e ciascuno si preoccupa di cercare luoghi, a volte lontani, per riscoprire i valori fondamentali senza accorgersi che proprio lì, dove si vive quotidianamente, è il luogo dove ritrovare le motivazioni profonde del proprio essere frate; «non è un luogo ben preciso, ma riguarda ogni ambito della nostra vita. È un discepolato di sentimenti e motivazioni, dove ogni frate è chiamato a vivere bene e nella gioia i momenti comunitari e celebrativi».

Un terzo obiettivo è la fraternità che si progetta e fa discernimento. Parole come pensare, programmare, verificare sono a tutti note e sono già entrate abbondantemente nel vocabolario comune; ciò che è importante che queste non rimangano solo parole impresse nella mente, ma si trasformino continuamente in vita vissuta ed esperienza concreta che, personalmente e comunitariamente, aiuta a trasmettere il carisma.

Un quarto obiettivo è una formazione permanente per le diverse tappe e i diversi ambiti di vita. Le parole di p. Fanin sono molto chiare per tutti i consacrati, non solo per i frati: «Nello scorrere della vita non può non cambiare la lettura di sé, della fraternità, della società, del mondo in cui si vive e si opera. Di qui la necessità di mettere a fuoco con sollecitudine le lenti di lettura della nostra storia personale e comunitaria, pena una miopia paralizzante e un impoverimento graduale della gioia e della speranza nella nostra vita consacrata». Il riferimento è a una partecipazione attiva e responsabile come un impegno vincolante ai corsi di formazione permanente pensati per le diverse fasce d’età.

Il quinto obiettivo è una fraternità che si forma in comunione con i laici. Il cammino non può che essere fatto insieme con coloro che condividono la «nostra stessa fede e che vivono la medesima vocazione battesimale, pur con modalità diverse, nel comune cammino di santità». Il percorso verso la santità, all’interno della chiesa, non può che essere pensato in questi termini di comunione gli uni con gli altri per testimoniare al mondo l’amore di Cristo. Tutto questo è possibile con l’impegno di tutti compiendo anche alcune opere buone in ambito spirituale-formativo partecipando, per esempio, ai corsi di esercizi spirituali, dandosi dei tempi di recupero; in ambito caritativo visitando gli ammalati, i carcerati, vivendo alcune forme di ospitalità; e anche nel settore dell’ascesi spirituale si possono prendere in considerazioni varie possibilità per una maggior adesione a Cristo casto, povero e obbediente.

Questo cammino, tracciato per la provincia pataviana, diventi per i frati conventuali, ma anche per tutti i consacrati, motivo di rinnovamento per una presenza sempre più significativa nella chiesa e nel mondo.

 

Orielda Tomasi

1 Cf. Testimoni 19/2000, 9.