UN MONDOTRA IL GRIDO E LA LODE

 

Libro dei Salmi: o della preghiera come movimento, come preghiera elevata secondo i ritmi e le vicende che scandiscono la vita di singole persone e di popoli, preghiera ora concentrata sull’esperienza individuale di un momento ora distesa a rielaborare lunghe memorie di passate avventure comuni. Libro come un mondo posto tra i due fenomeni più tipicamente umani, che sono il dolore e la gioia in tutta la sfaccettatura concretamente vissuta ed espressa nella fede sia col grido che implora soccorso dall’alto sia con la lode a Dio che l’aiuto ha donato in abbondanza.

Il libro biblico che a uno sguardo superficiale e anche a un uso devoto ma poco attento sembrerebbe una sem­plice raccolta di preghiere poeticamente formulate in diverse circostanze liete e tristi, dolorose e conflittuali in realtà è molto di più: lo sanno bene biblisti, liturghi e la stessa Chiesa che ce ne suggerisce il canto celebrativo e l’attualizzazione spirituale e pratica; e come intende dimostrare lo studioso André Wénin – docente di esegesi dell’Antico Testamento nell’Università cattolica di Lovanio e invitato per la teologia biblica alla Pontificia università gregoriana di Roma – nel suo ultimo libro Entrare nei Salmi.1

 

UN MONDO

IN PREGHIERA

 

Questo “molto di più” si annuncia già nel titolo ebraico Séfèr Tehîllim, ossia Libro di lodi inteso anche oggi come tale – nonostante i numerosi salmi densi di suppliche, gemiti, proteste e persino sentimenti di violenza e di vendetta – dall’antico popolo dell’Alleanza e che in tale senso anche noi cristiani possiamo senza dubbio intendere; infatti – oltre i “forse” che Wénin propone spiegando il titolo Libro di lodi – tutti possiamo comprendere nella fede «che ciò che consente di esprimere davanti a Dio suppliche, lamenti o sete di vendetta altro non è che lo spirito stesso della lode che canta la vita più forte della morte».

Quale preghiera in movimento – spiega il prof. Wénin – i salmi hanno la loro matrice essenziale nel racconto, che leggiamo in Es 14, della traversata del mar Rosso compiuta dai figli di Israele: i quali usciti liberi con la guida di Mosè dalla schiavitù d’Egitto si accorgono di essere nel loro cammino di libertà inseguiti e quasi raggiunti dal faraone col suo esercito, e nell’improvvisa paura che li assale gridano verso il Signore: è il grido in cui si condensa la preghiera di supplica, nella quale il terrore del gravissimo pericolo incombente si riversa nelle risorse della fede. E il Signore risponde, intervenendo “con braccio potente” a salvare i suoi dalla morte, così che stupore e ammirazione da parte dei salvati non possono che esplodere in un canto di lode verso di lui “operatore di prodigi”. E il loro sentimento non è più di paura ma di timore – “il popolo temette Adonai” – ovvero di riconoscimento umile della sua potenza e di esultante gratitudine per non essere stati “inghiottiti vivi” a causa del furore nemico.

Su tale matrice – ribadisce l’autore – è strutturata nel Salterio la riproduzione di un mondo situato interamente tra il grido e la lode: dove il grido riassume le situazioni di morte – nei salmi di supplica individuale o collettiva in stati di abbandono, di malattia e di dolore innocente o no, di confessione di colpe e di lamento per l’oppressione nemica... – e dove la lode sintetizza gli stati d’animo relativi alla vita risorta: nella salute riacquistata, nella libertà riavuta, nel perdono ottenuto o nella pace rigustata. Vi corrispondono forme di linguaggio la cui modulazione porta a precisare nei salmi quella tonalità dominante che va a costituirne la nota varietà dei generi letterari; così che il lamento accentua la descrizione del vuoto sperimentato dall’orante, mentre la supplica in senso stretto sottolinea la domanda rivolta a Dio; un salmo penitenziale insiste sul riconoscimento di colpe individuali o di popolo, e la preghiera di un orante che si sa innocente di fronte al male ne presenta a Dio l’integrità morale nello stesso tempo in cui chiede con fiducia filiale la protezione divina.

Ed è in tale continuo alternarsi di situazioni che tra l’inizio del Salterio con i salmi 1 e 2 e la sua conclusione con i salmi 148-150 il prof. Wénin vede questo libro biblico attraversato da una significativa linea di coerenza. “Vale a dire che il Salterio mette in scena, se così posso esprimermi, un mondo dove, sotto lo sguardo di un Dio di vita, i protagonisti si trovano alle prese col male, siano essi ora attori, ora vittime, ora spettatori”.

 

UN PROGETTO

TEOLOGICO?

 

Ed ecco perciò l’altro scopo che in quest’opera lo studioso si prefigge: dimostrare che la concatenazione dei salmi e la disposizione generale del libro rispondono probabilmente a un progetto teologico proprio. Egli non è il solo a pensarlo, afferma, poiché «da una ventina d’anni taluni ricercatori si interessano di questa difficile questione e tentano di scoprire il segreto del Salterio come libro».

Già Romano Guardini – citato da Gianfranco Ravasi nel suo commento al primo Salmo in Il libro dei Salmi, vol. I, EDB 1981 – scriveva che «il salmo 1 rappresenta il portale attraverso il quale si entra nel ricco mondo di questi poemetti». E tale collocazione – prosegue Wénin – probabilmente non dipende dal caso, poichè esso, «opponendo il giusto ai malvagi dà vita fin dall’inizio ai personaggi che gli altri salmi metteranno in scena; e inoltre esso sembra sottrarsi come genere letterario a ogni classificazione proprio nella misura in cui ha potuto essere composto per servire da porta d’ingresso all’intero libro».

Tale considerazione apre il terzo capitolo, nella ricerca di Wénin, dedicato interamente all’analisi del Salterio in quanto aperto forse “programmaticamente”, come già detto, dal salmo 1 nel quale si rivela come tracciato da Dio un “cammino di vita”, concluso dalle esplosioni di lode cosmica, espressione di vittoria sul male e sulla morte che hanno insidiato il giusto, contenute nei Salmi da 148 a 150; e avente quale “cuore del dramma evocato dall’intero libro” il complesso salmo 22: dove più propriamente il grido diventa lode; dove è presentata «la figura di un amico di Dio, innocente e umiliato, sul quale si accaniscono i potenti e che nel suo sgomento conserva fede e speranza in Dio persino nel più profondo della morte. E Dio gli risponde restituendolo alla vita». Ed è il salmo che più direttamente esercita su di noi cristiani le più forti suggestioni, perché è vero – come scrive anche Ravasi commentandolo nel libro citato – che non c’è cristiano che non conosca la carica sconvolgente di quelle battute iniziali del carme, gridate da Gesù agonizzante, e che non si senta “divinamente gioioso” credendo fermamente nella sua risurrezione.

Nel variegato mosaico “unitario” del Libro di lodi anche le composizioni di genere sapienziale rivelano – e siamo alla parte conclusiva dell’opera di Wénin – le caratteristiche di un mondo posto tra il grido e la lode. I sapienti che meditano sulla vulnerabilità inerente alla condizione umana la segnalano anche qui come vuoto, carenza, limite; per cui i fatti che più colpiscono insinuano paure e lasciano forti perplessità sul mistero del male che porta sofferenza a se stessi e agli altri. Male inferto e male sofferto, frequenti nelle esperienze registrate dai salmografi come difficoltà di vivere positivamente il limite, fanno pensare la sofferenza quale “messaggio da decifrare”, nel cammino verso la sapienza del cuore perché il grido diventi lode.

Aggiungiamo che “entrare nei Salmi” seguendo l’analisi tecnicamente dettagliata che l’autore ne propone per dimostrare la coerenza del Salterio nel senso indicato può non essere facile a non iniziati. Ma vale la pena di affrontarne la fatica per la ricchezza di motivi che lo studio offre anche per rinfrescare l’uso dei Salmi nel dinamismo della preghiera personale e comunitaria.

 

Z.P.

1WENIN A., Entrare nei Salmi, EDB, Bologna 2002, pp. 159, Euro 12,50.