FR.
ECHEVERRÍA AI FRATELLI SCUOLE CRISTIANE
UNA
PREGHIERAAPERTA SUL MONDO
Senza la preghiera, il rischio è di diventare una società incapace di rendere visibile il vangelo di Cristo. È triste sentir dire talvolta che il denaro e l’invecchiamento sono le preoccupazioni principali dei religiosi.
La
preghiera, personale e comunitaria, con una particolare accentuazione di quella
liturgica, soprattutto dell’eucaristia, è stato l’argomento che fratel Álvaro
Rodríguez Echeverría, superiore generale dei Fratelli delle scuole cristiane ha
sviluppato nella lettera rivolta ai suoi religiosi, in occasione del Natale
scorso. Una preghiera non intimistica ma apostolicamente orientata, cioè posta
al cuore della realtà odierna della Chiesa e del mondo. Scrive infatti: «La
nostra vocazione di fratelli ci associa al Dio vivente, manifestato in Gesù
Cristo, per continuare la sua opera di salvezza. È in questa ottica che dobbiamo
situare la nostra preghiera», in un mondo in continua mutazione, partendo «dai
segni dei tempi, sempre ambigui, ma che ci manifestano le vie insondabili di
Dio».
Tra le
caratteristiche salienti della realtà odierna, fr. Echeverría ricorda la
ricchezza di informazioni, e soprattutto di seduzioni, l’inarrestabile sviluppo
tecnologico, il primato dell’efficienza e della immediatezza di tanti mezzi di
comunicazione, la frenesia dei ritmi di lavoro, la globalizzazione, il
superamento di tutte le frontiere, lo scambio interculturale e il dialogo
interreligioso, un mondo più tollerante per un verso ma anche più guerrafondaio
per un altro verso, il dilagare del terrorismo e il fenomeno delle
immigrazioni, un ripiegamento preoccupante su se stessi con il rischio di
mettere in secondo piano l’importanza della comunità.
Anche
per far fronte a tutti questi “ambigui” segni dei tempi, nel recente passato
dell’istituto il tema della preghiera ha sempre avuto un’attenzione privilegiata.
Nel 1971 fr. Charles Henry, in una sua lettera circolare, invitava i suoi
confratelli, sull’esempio del fondatore, a considerare sempre la preghiera come
una vita, la vita stessa del Cristo che attraverso il fratello vuole portare il
suo messaggio di salvezza ai giovani d’oggi,
Il
fratel John Johnston ha consacrato interamente la sua lettera pastorale del
1990 al tema specifico dell’identità e della preghiera, come elementi
inseparabili nella vita del fratello, definito esplicitamente ed invitato ad
essere «un uomo di preghiera». Del resto era il fondatore stesso che spingeva i
fratelli a scoprire la relazione tra la loro vita di preghiera e il loro
servizio quotidiano ai giovani, portando davanti al Signore le loro
esperienze, pregando per coloro che erano affidati alle loro cure.
«Mi
sembra, scrive fr. Echeverría, che il messaggio dei nostri ultimi superiori
generali sia chiaro. Ogni volta, la nostra preghiera è considerata nella
prospettiva della nostra vita e della nostra realtà, come elemento integrante
delle tre dimensioni che ci costituiscono come fratelli: la nostra
consacrazione a Dio, la nostra missione apostolica, la nostra vita
comunitaria».
UN
SYMPOSIUM
SULLA
PREGHIERA
Tra gli
avvenimenti più significativi vissuti recentemente dai lasalliani va ricordato
soprattutto il symposium sulla preghiera del 1980, in occasione del tricentenario
dell’istituto. «Il symposium è stato per me, scrive fr. Echeverría, una
esperienza indimenticabile che mi ha aiutato a meglio scoprire la ricchezza
della nostra preghiera lasalliana, considerata a partire da culture e
sensibilità diverse. Mi sembra che il “Credo” che abbiamo allora elaborato
offra una buona sintesi della ricchezza scoperta. È un atto di fede nella
preghiera come dono e come arte; un invito a riesaminare la qualità della
presenza di Dio e del popolo che serviamo nelle nostre vite; è un richiamo a
condividere la nostra preghiera a partire dalla nostra stessa povertà, a
riconoscere la preghiera come un imperativo esistenziale della persona, senza
dimenticare la sua dimensione comunitaria, a illuminare la nostra vita con la
parola di Dio e a scoprire che il nostro ministero ci spinge alla relazione
diretta e permanente con questo Dio per cui lavoriamo e che dà senso alla
nostra attività apostolica».
Dopo
questo breve riferimento al recente passato, fr. Echeverría richiama
l’attenzione dei confratelli su due aspetti in particolare: il metodo di
orazione proprio dei lasalliani e la vita liturgica all’interno delle loro
diverse comunità.
Una
delle più grandi ricchezze spirituali lasciate dal fondatore ai lasalliani è il
metodo di orazione, un metodo importante soprattutto per le grandi intuizioni
che racchiude e che possono illuminare l’itinerario spirituale di un religioso.
Per La Salle non c’è orazione che non parta da una presenza; per lui, infatti,
la prima cosa che si deve fare nell’orazione è di penetrarsi interiormente
della presenza di Dio. «Penso, dice fr. Echeverría, che sia qui la prima e
principale intuizione lasalliana sulla preghiera e quella che ha più arricchito
la mia preghiera personale». Si tratta, attraverso la preghiera, di prolungare
il dialogo con Dio, di approfondire la relazione tra un Dio sempre presente,
che prende l’iniziativa rivelandosi come Dio salvatore e misericordioso, e un
uomo che riconosce la sua piccolezza e i suoi limiti e che, accettando di
essere amato, è salvato in Gesù Cristo.
Per La
Salle pregare significa «contemplare Gesù Cristo nel vangelo affinché i suoi
insegnamenti e l’esempio della sua vita ci aiutino a trasformarci in lui».
Proprio per questo il vangelo dev’essere il primo e principale libro di
preghiera, perché in definitiva, «si tratta di prendere sul serio l’umanità di
Gesù, centrandoci sugli avvenimenti della sua vita e prolungandoli nella nostra.
La parola di Dio, il mistero contemplato nell’orazione, devono trasformarsi in
parola vivente e attualizzata. Per questo motivo le coordinate dell’orazione
lasalliana sono la realtà attuale da una parte e la parola di Dio dall’altra».
EUCARISTIA
E LITURGIA
DELLE ORE
Dopo
questo insistente richiamo alla parola di Dio, per fr. Echeverría era quasi
scontato il discorso sull’importanza della eucaristia e della liturgia delle
ore. Anche se secondo la regola dei lasalliani l’eucaristia dovrebbe essere
l’anima di tutta la vita dei fratelli, «mi sembra, e ho sentito altri fratelli
fare lo stesso commento, che noi ne abbiamo fatto un esercizio di pietà
supplementare». Questo è tanto più preoccupante quanto più sappiamo che
«l’eucaristia è una celebrazione che esprime e nutre ogni giorno i valori della
nostra vita consacrata, è un invito a rivivere sacramentalmente i legami della
nostra fraternità, ad ascoltare la parola di Dio e a lasciarci interpellare da
essa, a metterci in sintonia con l’atteggiamento sacrificale di Cristo, a
rinnovare l’impegno nel servizio e nella missione che il Signore ci ha
affidato».
L’eucaristia
costruisce la comunità. Se la fraternità, sia pure con tutte le sue limitazioni
e le sue ambiguità, deve esistere già prima della celebrazione eucaristica,
questa però diventa uno stimolo e un alimento ulteriore della fraternità
stessa. «Non è facile vivere in comunità. La fraternità religiosa è un
percorso più che un punto di partenza, è qualcosa che si “costruisce”. La
comunità è sempre imperfetta, ma è fatta da persone che imparano ogni giorno a
essere più fratelli comunicando con il Cristo».
Nell’eucaristia,
la parola di Dio «ci educa ogni giorno, ci converte dai nostri atteggiamenti
contrari al vangelo e ci invita a identificare la nostra volontà con quella di
Dio». Il carattere sacramentale della Parola poi rende Dio presente, non
soltanto in una maniera personale e intima, ma come una presenza che ci
assegna un posto nella storia della salvezza. La liturgia della parola nella
celebrazione eucaristica «cambia la nostra vita in una parte della grande
storia della salvezza. Le nostre piccole storie sono integrate nella storia
salvifica di Dio».
Se
l’eucaristia non è solo il segno efficace del sacrificio di Cristo sulla croce,
della sua morte redentrice, ma anche un segno, un sacramento della nostra
propria donazione, allora «siamo chiamati a prolungare il mistero eucaristico
di sacrificio e di dono di sé per la vita del mondo. Non dobbiamo dimenticare
che la fede cristiana ci invita ad uscire dal tempio, a uscire da noi stessi,
per trovarci con l’uomo ferito sul bordo della strada. Il fratello deve
incontrare Dio nell’ eucaristia, ma anche sotto la fragilità di umili segni,
come quelli del pane e del vino, nei ragazzi e nei giovani, specialmente
poveri».
L’eucaristia
non deve fermarsi alla comunione, ma deve aprirsi alla missione; la dinamica
che sgorga dell’eucaristia infatti va dalla comunione alla comunità e da questa
al ministero (Henry Nouwen).
«La
nostra esperienza di comunione, come quella dei discepoli di Emmaus, scrive
fr. Echeverría, ci rinvia prima ai nostri fratelli per condividere con loro le
nostre storie e, con loro, costruire un corpo animato dall’amore. Poi, in
quanto comunità, possiamo partire verso tutte le direzioni e andare verso
tutti, con il cuore in fiamme e le orecchie e gli occhi ben aperti».
Anche
la liturgia delle ore «deve essere per noi un alimento della nostra fede e
della nostra spiritualità e un impulso per il nostro impegno apostolico».
Questa preghiera di lode e di supplica della Chiesa, infatti «ci permette, da
una parte, di fare l’esperienza della presenza del Signore risorto a cui ci
uniamo, con tutta la Chiesa, per presentare la nostra preghiera al Padre;
d’altra parte, ci educa poco a poco ad un atteggiamento di ammirazione e di
gioiosa meditazione delle sue opere e, nello stesso tempo, mattino e sera, con
il ritmo di luce e oscurità, con la preghiera dei salmi che raccolgono i
sentimenti e le esperienze che segnano le avventure umane, introduce la nostra
storia personale e comunitaria nel piano di salvezza di Dio».
PREGHIERA
E
MISSIONE
«Personalmente,
ha detto fr. Echeverría, concludendo la sua lettera, penso che una delle
caratteristiche più ricche della nostra preghiera lasalliana sia il suo
carattere apostolico. La nostra spiritualità è una spiritualità unificante,
perché è lo stesso Spirito che ci consacra come fratelli e che tocca il cuore
dei giovani che educhiamo». Non si può assolutamente rinunciare a vivere una
tensione vitale e dinamica tra preghiera e missione; in caso contrario, il
rischio è quello di diventare una società filantropica «che farebbe senza
dubbio molto bene, ma sarebbe incapace di rendere visibile il vangelo di Gesù
Cristo che dona senso alle nostre vite. È triste sentir dire qualche volta che
i due aspetti che oggi occupano di più l’attenzione e le preoccupazioni dei
religiosi siano il denaro e l’invecchiamento. Non c’è nulla di più contrario ad
un autentico zelo apostolico del pensare che dobbiamo lasciar da parte la
preghiera per avere più tempo per il nostro servizio agli altri. È proprio
questo servizio che deve risvegliare in noi il bisogno della preghiera. Ancor
più, la nostra preghiera non deve mai avere una finalità esclusivamente
privata, ma deve sempre essere aperta ai bisogni del mondo».
A
questo riguardo è importante non sottovalutare la tensione dinamica che
intercorre tra preghiera personale e preghiera comunitaria; il problema si pone
«quando riduciamo la preghiera comunitaria a una serie di esercizi che bisogna
compiere. In questo caso, la preghiera personale, non essendo programmata e non
sorgendo che dal cuore e dall’incontro gratuito con Dio, sparisce facilmente
dall’orizzonte dei nostri interessi e la preghiera comunitaria diviene un peso
da portare».
La
Salle invitava sempre i suoi confratelli a concludere ogni giorno la loro
preghiera ricorrendo a Maria, in un certo senso per per continuare con lei
l’opera della salvezza. Se l’eucaristia non è un esercizio di pietà ma una
vita, allora «la relazione con Maria, ha concluso fr. Echeverría, non deve
essere una semplice devozione, ma un modo concreto di vivere il vangelo, come
ha fatto lei, nella sua sensibilità femminile di accoglienza, di amore
profondo, di dono, di disinteresse e di gratuità».
A.A.