CONVEGNO/INCONTRO
DEGLI OLIVETANI
UN’ESIGENZAA
TUTTI I LIVELLI
Con la formazione permanente, la persona dovrà sviluppare tutte le risorse interiori, dalla vita affettiva e relazionale al progresso culturale e professionale, a una crescente integrazione nel proprio istituto. Ma è la vita spirituale la dimensione prioritariada far crescere.
La
formazione permanente nella vita consacrata, soprattutto monastica, di oggi: è
stato questo l’argomento che i monaci di Monte Oliveto hanno scelto, in armonia
con le direttive della Chiesa, per l’incontro-convegno che hanno tenuto
nell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore (Siena) dal 3 al 4 settembre scorso,
allo scopo di approfondirlo con l’aiuto di noti studiosi e l’ascolto di alcune
esperienze di altri monasteri.
L’incontro
è stato introdotto dall’abate generale, dom Michelangelo Tiribilli e dal
presidente della commissione per la formazione, dom Stanislao Avanzo, della
Congregazione Benedettina di Monte Oliveto, mentre i lavori veri e propri sono
iniziati con una relazione introduttiva in cui si è data ragione della
struttura della due-giorni.
TRE
NODI
DA
SCIOGLIERE
Nella
prima parte si è focalizzata l’attenzione sul soggetto della formazione
permanente. Il prof. Sanna ha contestualizzato l’ambito culturale in cui l’uomo
oggi è chiamato a vivere, e nel quale ha individuato tre nodi da sciogliere da
parte dell’antropologia cristiana. Il primo è l’etica del viandante in cui non
ci si appella alla norma ma all’esperienza, così il senso della vita non è
colto in un progetto ma nell’accadimento. Il secondo è la dilatazione del
desiderio per cui la realtà diventa misura del desiderio e l’uomo vale per quello
che ha e non per quello che è. Il terzo è la perdita della speranza il cui
orizzonte si è abbassato alla semplice attesa. La risposta cristiana è l’uomo
visto come immagine di Dio. In questo orizzonte antropologico il noto
pro-rettore dell’Università lateranense ha offerto le risposte ai tre nodi.
All’etica del viandante si oppone l’etica del pellegrino, per il quale c’è una
meta data da Dio. Alla dilatazione del desiderio si oppone la verticalizzazione
degli ideali e alla perdita della speranza la nostalgia dell’infinito.
Il
prof. Secondin ha notato come nell’indagare sugli aspetti costitutivi della
vita religiosa la «consacrazione» si debba collocare all’interno della dinamica
della grazia che trasforma la storia, anziché sottrarsi ad essa. Pertanto, l’impegno
non può ridursi a una semplice manutenzione di osservanze, ma deve storicizzare
sia la dimensione profetica della vita consacrata, sia l’impegno culturale. A
partire dal concilio, ha rilevato il noto docente dell’Università gregoriana,
attraverso il recupero della dimensione teologica della vita religiosa, si sono
tematizzati aspetti che vanno dal recupero del carisma delle origini, alla
sottolineatura teologale della vita fraterna, dall’importanza del dialogo con
le nuove sfide culturali, alla sottolineatura della parola di Dio e della
liturgia.
Il
monaco e professore Giorgio Picasso ha proposto una relazione sulla
spiritualità monastica attraverso i diversi periodi storici. Il noto docente
della Cattolica ha evidenziato come dal VI al X secolo la spiritualità
monastica si caratterizzi per un forte accento escatologico e il monastero sia
concepito come deserto. Con la fine del medioevo, potremo dire fino a
comprendere la nascita dell’abbazia e poi della congregazione di Monte Oliveto,
ha continuato il relatore, si passa dalla spiritualità tradizionale alla
devotio moderna. Se per la prima il riferimento è il monachesimo antico, per la
seconda si pone sull’intimità, l’ascesi e la devozione. Uno stacco è dato dalle
soppressioni e dalla successiva ripresa nella quale si è recuperato (a volte
inventato) la tradizione interrotta con la bufera napoleonica. Tra le figure
che emergono nel monachesimo recente si sono citati Columba Marmion e Thomas
Merton. In conclusione, ha osservato il relatore, l’elemento unificante della
spiritualità monastica lungo i secoli è dato dalla lectio divina.
Il
secondo momento del convegno-incontro ha focalizzato alcune prospettive della
formazione permanente. Il prof. Benito Goya ha presentato lo sviluppo e
un’ampia visione organica della formazione permanente nel magistero nel quale
si evidenzia come la formazione tocchi un atteggiamento di continua
conversione, in cui viene coinvolta la persona nella sua integralità, e non
come qualcosa di esteriore o di aggiuntivo alla consacrazione. Attraverso la
formazione permanente, ha affermato il noto docente del Teresianum, la persona
dovrà sviluppare tutte le risorse interiori, dalla vita affettiva e di
relazione al progresso culturale e professionale, alla sempre maggiore
integrazione nel proprio istituto. Soprattutto, però, ha ribadito il relatore,
è la vita spirituale la dimensione prioritaria della formazione che deve
crescere e svilupparsi progressivamente.
Valerio
Cattana, illustrando la formazione permanente nell’epistolario di Jean
Leclercq, ha sottolineato che il monaco di Clairvaux pur non trattando in modo
esplicito questa tematica nelle sue lettere, tuttavia mantiene uno stile di
padre spirituale. Infatti, accompagna l’interlocutore con atteggiamenti di
simpatia, di umanità e di comprensione, lasciando sempre al figlio la
responsabilità nelle decisioni e mostrando come sia importante la valenza
spirituale della vita monastica.
Nell’ultima
relazione, Pius-Ramon Tragan ha sottolineato come nelle comunità monastiche
attuali in diversi casi i monaci si accontentino della formazione ricevuta ai
primi anni della vita religiosa e questa «debba servire» per tutta la vita. Un
grave pericolo, ha proseguito il relatore, è una spiritualità centrata su una
liturgia perenne e intoccabile e su una devotio propria dei secoli scorsi o
centrata su esperienze e devozioni di tipo sensibile ed emotivo. Il monaco
dell’abbazia di Montserrat già rettore del Pontificio ateneo s. Anselmo, ha
proposto, quindi, un percorso “forte” di formazione sottolineando la necessità
di un curriculum degli studi ben articolato dall’inizio e coinvolgente tutte le
fasi della vita. Una buona formazione permanente comunitaria, ha sostenuto il
relatore, non si limita a una serie di conferenze, ma implica la necessità di
un gruppo di monaci impegnati «in prima linea» nello studio approfondito e
nella ricerca seria. Tutta la comunità ne trarrà vantaggio se «respirerà» del
lavoro svolto dai propri membri più impegnati. Un preambolo importante, ha
sottolineato Tragan, è una comunità in cui vi sia una frequenza negli incontri
caratterizzati da una costante comunicazione e circolarità delle idee. A questo
percorso forte, Tragan ha affiancato un percorso meno impegnativo, ma più
fattibile, sottolineando come nelle comunità l’età media sia alta e spesso vi
sono monaci che si sentono tenaci difensori di quanto hanno appreso in
noviziato, come se quella fosse l’unica modalità con cui vivere il monachesimo.
Proprio questi stessi monaci, poi, di fatto, ha proseguito il relatore, spesso
non dimostrano un comportamento coerente con la vita del chiostro e con gli
stessi principi di cui sono, a parole, gelosi difensori. In questa situazione
risulta difficile proporre un forte programma di formazione permanente.
ESPERIENZE
DI
ALTRE COMUNITÀ
L’ultima
parte del convegno-incontro ha avuto come protagoniste alcune comunità
monastiche italiane di diverso orientamento. Fr. Giuseppe Cicchi, monaco di
Camaldoli, ha presentato la formazione permanente nella sua comunità, di cui ha
sottolineato tre livelli: il livello personale in cui, nell’ambito delle
settimane estive, ogni monaco sceglie la propria area di interesse; il livello
comunitario costituito da incontri, scelti da un’équipe culturale, in cui una
stessa tematica viene sviluppata per un lungo tempo (da sei mesi a due anni);
livello intercomunitario in cui vengono coinvolte attorno a un tema tutte le
comunità camaldolesi, maschili e femminili, presenti in Italia.
Fr.
Riccardo Larini, monaco e bibliotecario di Bose, ha illustrato la formazione
permanente che viene svolta nella sua comunità. Il primo elemento evidenziato è
stato l’orizzonte antropologico in cui guardare con sim-patia ‑ nel senso
di patire insieme – alle istanze presenti nella società contemporanea. La
seconda sottolineatura ha toccato la spiritualità. In questo orizzonte si ha un
prospetto che comprende: settimane bibliche, lectio divina personale e
comunitaria, esercizi spirituali comunitari, convegni su figure cristiane
significative. Il terzo elemento è dato dalla formazione ecclesiologica. A
questo livello, ha evidenziato il relatore, la comunità di Bose vive una
prospettiva ecumenica attraverso scambi con le altre confessioni cristiane. Il
quarto elemento è dato dalla formazione monastica in cui lo specifico è la
centralità della parola di Dio – celebrata nella liturgia e assimilata nella
lectio divina – oltre alla conoscenza delle radici del monachesimo. La comunità
di Praglia non ha potuto intervenire, ma il suo contributo sarà presente negli
atti, di prossima pubblicazione.
LE ISTANZE
EMERSE
Dal
convegno-incontro di Monte Oliveto mi sembra che siano emerse alcune istanze di
cui offro un semplice elenco, senza pretesa di esaustività. Un primo dato che
emerge è la necessità della formazione permanente. Si tratta di un’esigenza che
si pone a tutti i livelli: antropologico, spirituale, ecclesiale, monastico,
comunitario e personale. Un secondo elemento credo sia offerto dalla centralità
e dall’unità della persona. Centralità in quanto è la persona il soggetto
attivo e la risorsa essenziale a cui è rivolta la formazione permanente. Unità
perché la persona, come emerge dall’antropologia biblica, deve essere
considerata nella sua fondamentale valenza unitaria. Il terzo elemento mi
sembra sia dato dai contenuti e dalla modalità stessa della formazione
permanente. In questo ambito risulta vitale l’impostazione di un’articolata e
organica formazione iniziale che sfoci, come per connaturalità, in quella
permanente. Questo richiede che la formazione sia adatta alla persona
(centralità della persona), la quale dovrà trovare nell’offerta di formazione
le premesse e gli stimoli allo sviluppo armonico di tutte le proprie
potenzialità (unità della persona). In definitiva, è il rapporto
persona/proposta formativa il punto nodale della formazione permanente. Da un
lato, è necessaria una persona umanamente matura e aperta per accogliere gli
stimoli che la formazione permanente richiede e, previamente, per vivere sino
in fondo l’insostituibile momento della formazione iniziale. D’altro lato,
ritengo che la proposta formativa non dovrebbe prestarsi ad ambiguità: ad
annacquamenti del carisma monastico in funzione del sacerdozio ministeriale, a
finalizzazioni pastorali esterne per monaci vagantes, oppure ad un’impostazione
emotivo-devozionale. La proposta formativa, invece, dovrebbe prevedere un serio
programma di studi in cui trovare un approfondimento sapienziale della fede e
che permetta sia un’assimilazione intensa della spiritualità monastica
(centrata nella lectio divina) attraverso il contatto diretto con i Padri del
monachesimo, sia il dialogo/critica con la cultura del nostro tempo. Tale
programma, inoltre, non dovrebbe lasciare spazio ad assunzioni personali
ibride, alle cosiddette doppie appartenenze, in cui ben difficilmente la
persona riesce a crescere in unità. Il quarto elemento è dato, a mio avviso,
dall’ambiente concreto in cui il monaco si trova a vivere. Non è indifferente
che la comunità sia serena, aperta, viva e stimolante, oppure conflittuale,
pettegola, chiusa e stanca. Solo una comunità in continua formazione diventa
l’ambito più naturale in cui la persona è in grado sia di cogliere il proprio
cammino di formazione permanente, sia, ancor prima, di assimilare la formazione
iniziale.1
In
conclusione, al di là di tutte le necessarie e importanti analisi e
prospettive, credo che la qualità della formazione permanente sia
strutturalmente unita alla qualità della vita spirituale e della vita interiore
della persona. La formazione permanente, infatti, non può che essere
profondamente legata al personale e unico rapporto che il monaco, per dono,
stabilisce con Cristo. È la qualità e l’intensità con la quale viene vissuto e
incarnato questo rapporto, che determina nella persona il desiderio di
approfondire sempre di più tutte le dimensioni e le possibilità umane,
conoscitive, psicologiche e spirituali, per poter dire con sempre maggiore
verità «per me vivere è Cristo».
Roberto Nardin