PREGHIERA
E FORMAZIONE PERMANENTE
IL
RESPIRODELLA VITA
Nel cammino della vita che ci porta alla piena identità di figli la preghiera si rivela elemento imprescindibile. Chi la vive con docilità e docibilità sperimenta la sollecitudine di Dio, padre ed educatore.
Ogni
circostanza della vita in ogni momento e in qualsiasi contesto può diventare
mediazione formativa, occasione di formazione permanente (FP). Tutte queste
occasioni possono rivelarsi a me credente come mediazioni singolari attraverso
cui il Padre mi crea, mi plasma, mi apre prospettive, mi crea attorno deserto…
per formare in me i sentimenti del Figlio.
Qui il
discorso potrebbe aprirsi in molte direzioni. Io vorrei prendere in
considerazione un solo ambito, quello della preghiera, perché non sempre si
coglie la valenza educativo-formativa e di “compagnia” dell’orazione.
Se è il
Signore o, meglio, la Trinità santissima che forma e trasforma, il ritmo
quotidiano della FP è scandito soprattutto dal suo intervento, e da quanto ci
consente di entrare in contatto con esso, a partire dallo spirito d’orazione,
che è molto più delle cosiddette pratiche di pietà. Voglio dire che questo
rapporto è all’origine della vita, della vocazione, dell’identità, della
formazione, della verità della persona…, infatti il Padre-Dio è l’educatore che
dandoci la vita, o tirandoci fuori dal caos della non esistenza e delle nostre
schiavitù, ci svela la verità, il Figlio è il formatore che plasma in noi i
suoi sentimenti, lo Spirito è l’accompagnatore, il “dolce ospite delle anime”
che ci conduce verso la vita. Se la vita nello Spirito ha un suo ovvio primato,
la relazione con Dio costituisce il respiro segreto della FP, ovvero la
preghiera ci educa, in quanto scava e fa emergere in noi la verità di noi
stessi; ci forma, poiché plasma e modella nel profondo della nostra identità i
“sentimenti del Figlio”; infine ci accompagna, perché ci rende ogni giorno
partecipi della paternità e provvidenza del Padre oltre a renderci compagni di
viaggio degli uomini nostri fratelli.
IN
SPIRITO
E
VERITÀ
La
preghiera educa, perché pregare significa stare dinanzi alla verità di Dio
nella verità di sé. Nulla come l’orazione è in grado di far venire a galla quel
che noi siamo nelle profondità spesso oscure di noi stessi, e non solo perché
abbiamo la certezza d’esser in ogni caso accolti e compresi dal Dio
misericordioso, ma perché il contatto con la Verità divina evoca
necessariamente la verità umana. Ogni preghiera ha questa valenza
evocativo-veritativa, altrimenti non è preghiera, né certamente orazione che
educa.
Il problema,
allora, della FP non è quanto uno preghi o se sia fedele alle sue pratiche di
pietà, ma la qualità veritativa del suo stare dinanzi a Dio, il suo pregare in
“spirito e verità”.
Tale
dimensione veritativa ha due versanti classici: uno che indaga sull’io attuale,
soprattutto per coglierne la componente negativa e immatura; l’altro che invece
cerca di scrutare le possibilità dell’io ideale, ciò che l’io è chiamato a
essere. Il primo versante richiama l’aspetto penitenziale della preghiera, il
secondo quello più contemplativo. Assieme svelano la verità dell’orante, il suo
intreccio di bene e di male, e dunque anche le piste della sua crescita
continua.
Chi
davvero s’avvicina a Dio, come fa l’orante, dovrebbe anche sperimentare… quanto
ne sia distante. È un principio forse un po’ singolare, ma che rientra nella
natura della preghiera cristiana o nella logica dell’intimità divina. Forse è
addirittura una prova dell’autenticità di questo avvicinamento, perché quando
ci si accosta al radicalmente Altro è inevitabile percepirne tutta l’alterità e
diversità, o lasciare che la sua luce illumini e renda evidente quanto in noi
s’oppone alla sua parola ma spesso non è così evidente.
Ogni
preghiera dovrebbe contenere questo accento penitenziale, altrimenti non è vera,
semplicemente. E non solo nel senso puramente penitenziale e negativo del
termine, seguito dalla richiesta di perdono, ma in quello ancora più profondo
di lasciar emergere il male che c’è in noi, i nostri dèmoni, le radici spesso
inconfessate di certe attrazioni meno evangeliche, quelle sottilissime tendenze
motivazionali che rischiano di non esser mai scoperte e che minano alla radice
– proprio perché incontrollate – ogni opzione di vita evangelica… Non solo
l’esame di coscienza, ma ogni orazione, dalla lectio della Parola alla
preghiera del salmo, dovrebbe esser anche un pellegrinaggio verso le fonti
dell’io, e determinare una maggior conoscenza del proprio cuore.
L’altro
aspetto, misterico-contemplativo, consente al credente di scoprire la propria vocazione,
attraverso una rivelazione quotidiana e progressiva.
La
preghiera quotidiana, di fatto, educa e fa scoprire la verità del consacrato/a
soprattutto perché, e in quanto è, preghiera di ascolto di Dio e di quanto esce
dalla sua bocca, cioè della Parola-del-giorno. È la manna quotidiana o il pane
fresco di giornata che alimenta il cuore pensante e viene a svelare al credente
il dono per lui preparato in quel giorno dalla provvidenza del Padre e assieme
la missione che il Padre stesso gli affida sempre in quel giorno: ogni
vocazione, infatti, è «mattutina», è la risposta di ciascun mattino a un
appello nuovo ogni giorno, e se la chiamata di Dio apre ogni giornata ecco
perché l’educazione (=l’ascolto di questa parola come parola che fa emergere
verità) e la formazione (=la risposta a questa parola che chiama) non possono
che esser quotidiani e permanenti.
In
concreto ciò significa non solo l’appuntamento mattutino con la Parola come
punto fermo, che non ammette deroghe, nel ritmo quotidiano del discepolo, ma
un’interpretazione della lectio come lectio… continua, ovvero come meditazione
che si estende, in qualche modo, a tutta la giornata e continua durante il
giorno, non solo perché il credente di buona volontà ha di solito anche buona
memoria (che è lo Spirito Santo) e di fatto la ricorda, ma perché la Parola
ascoltata il mattino ha bisogno per natura sua degli eventi del giorno per
rivelarsi pienamente e compiersi. Allora la giornata stessa, riscattata da
certo grigiore feriale, diventa “giorno che ha fatto il Signore”, come il
grembo di Maria che partorisce una Parola e una presenza sempre nuova di Dio, e
la Parola assume tutta la sua valenza educativa e formativa, come dono
dall’alto che ci plasma e accompagna in ogni istante del vivere quotidiano. FP è
anche questo modo d’intendere la classica pratica della meditazione, perché non
si riduca a rito stanco e assonnato del mattino; inutile se non raggiunge i
frammenti del vivere quotidiano, sterile se la Parola non si lascia fecondare
dalla vita.
D’altro
canto, a che serve una meditazione che non riesca a trascinare la Parola dentro
gli eventi o a far fecondare quella Parola dalla vita?
PANE
SPEZZATO
E
SANGUE VERSATO
La
preghiera quotidiana forma, poiché dà una struttura e una configurazione
precise alla persona e all’esistenza del consacrato/a, soprattutto attraverso
la vita sacramentale e la logica a essa sottesa, logica della grazia che
precede, non solo svelandoci identità e verità, ma in qualche modo già
realizzandola e plasmandola in noi.
È quel
che avviene, particolarmente, nell’Eucaristia quotidiana: nel corpo spezzato e
nel sangue versato presbitero e consacrato ritrovano ciascuno la propria
identità, la propria forma e norma di vita, ma pure la forza di attuarla. Non
ci si può nutrire di quel corpo spezzato e di quel sangue versato senza la
concreta disponibilità a spezzare il proprio corpo e versare il proprio sangue.
La frazione del pane è lo svelamento del mistero della vita del Figlio e di chi
vuole a lui conformarsi nella sua morte e risurrezione, come una scuola
continua ove s’apprende la logica elementare della vita.
E, se è
in questo senso che la preghiera forma, non è solo la preghiera a essere
“l’anima d’ogni apostolato”, ma anche l’apostolato è anima della preghiera,
perché c’è un’esperienza di Dio che si compie soprattutto nella missione, o una
possibilità addirittura d’intimità contemplativa con Lui che è tipica e
peculiare dell’apostolo. Fare esattamente l’esperienza della circolarità e
reciprocità del discorso tra preghiera e azione è FP, per cui anche
l’apostolato ha una sua specifica valenza educativo-formativa nel momento in
cui educa a cercare e trovare Dio nella storia e nel prossimo, affinando lo
sguardo e la sensibilità dell’apostolo, o forma lentamente in lui i sentimenti
del Figlio che si dona per amore, e aiuta a riconoscere nella com-pagnia degli
uomini la stessa compagnia dello Spirito.
OGNI
MIO DESIDERIO
È DI
FRONTE A TE
Infine,
mi sembra che la preghiera, nella logica del cammino formativo, possa e debba
divenire il clima abituale e l’atteggiamento di fondo del consacrato. È
soprattutto la compagna che rende continua la formazione. Perché lo “spirito di
preghiera” (non semplicemente la preghiera o le preghiere) è quanto consente di
trovare il ritmo giusto, l’equilibrio naturale tra azione e contemplazione, tra
silenzio del cuore e dialogo familiare con Dio, tra ascolto e parola, tra
lavoro e riposo, solitudine e relazione, studio e distensione, desideri e
attese di realizzazione…, rendendo tutto preghiera e lode all’Altissimo, come
uno stare continuo dinanzi a lui; ma è anche ciò che permette di restare
aperti agli imprevisti e all’improgrammabile, specie quando c’è di mezzo una
persona e il suo bene, una sofferenza o una richiesta d’aiuto, rendendo tutto
animato dall’amore e mettendo l’amore al primo posto, l’unico amore per Dio e
l’uomo.
La
docibilitas, possiamo dire, è anzitutto atteggiamento orante, poiché è
esattamente nella preghiera che l’essere umano, posto di fronte alla Verità e
Bellezza somme, avverte il fascino che elimina ogni paura e accende il
desiderio di sapere e conoscere. L’orazione è come un continuo processo
d’apprendimento del cuore e della mente, dei sensi e dell’emozioni. Ma tale
diventa quanto è davvero costante, quando cioè diventa come una rete che
raccoglie la giornata e la tiene unita attorno a dei nodi, che sono quegli
appuntamenti distribuiti ordinatamente lungo il giorno (per quanto possibile,
ovviamente, a chi non è proprietario del suo tempo), che rendono evidente la
“sacramentalità del tempo”. L’orazione diventa così sempre meno semplice dovere
che interessa alcuni momenti, ma spirito di preghiera che abbraccia tutto il
tempo e pervade tutta la persona, come un atteggiamento costantemente orante,
che dà senso e unità a tutto, e va annodato e riannodato costantemente al resto
dell’esistenza, propria e altrui. Quando un credente scopre e vive il potere
unitivo della preghiera, può dire d’avere trovato il centro della propria vita,
ciò che gli consente d’immergersi nella complessità non solo senza smarrirsi,
ma addirittura narrando e indicando a tutti il centro o il cuore della vita.
Esattamente
in quest’ottica è pensata e va celebrata la Liturgia delle ore, preghiera che è
il cuore pulsante della giornata del credente, ne segna ordinatamente il ritmo
e struttura il tempo, rendendolo un’esperienza abitata. Infatti essa riesce a
svelare il mistero del tempo nella vita cristiana, e svela che al suo centro
c’è il mistero pasquale: “la preghiera cristiana nasce, si nutre e si sviluppa
– afferma il papa – intorno all’evento per eccellenza della fede, il mistero
pasquale di Cristo. Così, al mattino e alla sera, al sorgere e al tramonto del
sole, si ricorda la Pasqua, il passaggio del Signore dalla morte alla vita”.
Non è
semplice orazione, bensì preghiera rituale che il religioso/a compie a nome
della Chiesa intera, non per i suoi privati interessi; supplica che s’unisce
alla lode perenne del Figlio nei confronti del Padre, ma che esprime al tempo
stesso, con le parole del salmista, le parole e i drammi di tutti gli uomini e
donne, in ogni oggi della storia, in qualsiasi circostanza e contesto. Colui
che prega con questo spirito si lascia accompagnare nelle vicende della vita
dallo Spirito del Padre che illumina gli occhi della mente e del cuore, e accompagna
lui stesso le vicende sofferte di tanti fratelli e sorelle presentandole al
Padre.
PAURA
DELL’INTIMITÀ?
Al di
fuori di questa logica c’è chi vive ancora come un obbligo o un peso il compito
di pregare, o – al contrario – chi in pratica ha deciso, con certa sufficienza,
di ritenerlo un optional o addirittura di disfarsene, ma pure chi non comprende
appieno una certa orazione come la Liturgia delle ore o ne sottovaluta la
dimensione ecclesiale o la funzione “temporale” o quella ministeriale d’intercessione,
e magari accumula sbrigativamente in un unico momento (“così poi non ci penso
più…”) quanto dovrebbe esser articolato e distribuito lungo tutta la giornata.
Secondo
p. Scalia il problema è un po’ generale ed è molto serio: «per esperienza personale
ciascuno di noi sa che solo di rado, solo in fortunate circostanze, il
breviario è preghiera, colloquio col Padre. Perché “parlare” è ascolto e
risposta, è comunicare e accogliere, farsi modificare dalla gioia e dalla
tristezza dell’altro, vedere, sentire che l’interlocutore sente le nostre
passioni e batte all’unisono col nostro cuore. Come noi col suo».
Molti
ministri e discepoli del Signore, tuttavia, semplicemente non parlano più con
lui, non hanno nulla da dirgli, non hanno più familiarità col suo mistero,
nessuna conversazione in sospeso, nessun discorso da iniziare, nessuna
confidenza da affidargli, nessuna intesa segreta come tra vecchi amici e
complici…, mentre per lui hanno tante cose da fare, o in nome di lui tante cose
da dire, e in ogni caso con lui passano una discreta parte del loro tempo, ma
usando parole altrui, o ripetendo formule e frasi fatte, o vestendo panni
ufficiali o confondendosi nel gruppo, come avessero paura dell’intimità con
lui, o ne fossero incapaci.
E così
la preghiera diventa un modo di difendersi da Dio e dal proprio io, come una
colossale bugia raccontata da uno che si nasconde anche a se stesso dietro una
maschera ben paludata; è culto che non fa nessuna compagnia alla vita, così
come la propria vita, se non è sorretta da un certo spirito orante, non può far
compagnia a un’altra vita.
Forse,
allora, è proprio vero che imparare ad amare vuol dire imparare a pregare.
Mentre la FP è questo lento quotidiano apprendimento a parlare amorosamente con
Dio, a gustare nella preghiera la sua dolcissima compagnia.
Amedeo Cencini