RELAZIONI CATTOLICO-ORTODOSSE

 

IL RUOLO DEI GESUITI

 

In una riunione di gesuiti (Velehrad 3-7 ottobre 2002) p. Peter-Hans Kolvenbach ha tenuto una relazione su Il ruolo dei Gesuiti nelle relazioni cattoliche-ortodosse in Europa: passato, presente, futuro.

 

Velehrad è una città della repubblica ceca, uno dei primi posti dove i fratelli ss. Cirillo e Metodio predicarono il Vangelo ai popoli slavi. Lo stesso Giovanni Paolo II, nel 1999, ha definito Velehrad una delle tre “culle della cristianità” in Europa.

Questa città – ha sottolineato p. Kolvenbach1 – è importante anche nella storia delle relazioni ecumeniche tra cattolici e ortodossi, luogo di una serie di conferenze teologiche sull’unità dei cristiani che i gesuiti furono chiamati a organizzare. Cominciati con la conferenza del 1907, gli incontri sono continuati fino al momento in cui il regime comunista ha deciso di vietarli. Il loro scopo era di promuovere una più chiara comprensione dei problemi esistenti nelle relazioni ecclesiali oriente-occidente e rafforzare i legami spirituali tra le chiese.

 

RELAZIONI

CATTOLICO-ORTODOSSE

 

Come descrivere le relazioni tra le chiese ortodosse e la chiesa cattolica? Secondo Michel Evdokimov in un articolo relativamente recente (La Croix, 12 aprile 2002), si tratta di una realtà variegata. Da una parte, la grande speranza di piena comunione tra le chiese sorelle è appassita. Ma ci sono movimenti stimolanti, in genere sotterranei, che incoraggiano. Durante la riunione a Baltimora nel 1999, la Commissione internazionale cattolico-ortodossa è stata costretta ad ammettere che le relazioni a livello ufficiale si sono fermate. Ma gruppi cattolico-ortodossi negli Stati Uniti e in Francia, per esempio, continuano a compiere un lavoro fruttuoso.

Si può dire la stessa cosa delle visite ecumeniche del papa. Malgrado le riserve iniziali e alcune sfortunate reazioni individuali, le visite alle chiese sorelle in Romania e in Grecia, nel Medio Oriente e nel Caucaso, hanno creato delle aperture per il dialogo. La visita in Ucraina invece ha ridotto ancora di più le poche speranze riguardo alla molto desiderata visita in Russia. D’altra parte, segni incoraggianti sono i gemellaggi tra le diocesi ortodosse e quelle cattoliche in Europa, come pure le visite dei cattolici, tra i quali i gesuiti, nella Santa Russia e alle altre chiese ortodosse in Europa orientale, visite effettuate in vero spirito di amicizia e comunione e libere dal proselitismo. Quando gli ortodossi e i cattolici si invitano a vicenda alle riunioni spirituali, bibliche, storiche o ecologiche, il rifiuto è raro. Nonostante ciò, c’è ancora una tendenza a escludere da tali riunioni i cattolici uniati e di stringere i contatti degli ortodossi con la chiesa cattolica latina.

Il dialogo cattolico-ortodosso di Balamand nel 1993 ha prodotto la dichiarazione che l’uniatismo (nel quale la Compagnia di Gesù ha avuto, su richiesta della Santa Sede, un ruolo maggiore) non deve figurare nella relazione tra le chiese sorelle. A Balamand però non si è potuto o non si è voluto compiere l’ultimo sforzo richiesto dagli interlocutori ortodossi di invitare i cattolici uniati a sparire, o ad aggiungersi alla Chiesa latina o a reintegrarsi nella Chiesa ortodossa dalla quale si sono separati.

Evitando ogni forma di proselitismo e abbandonando la promozione delle Chiese uniate come elemento necessario per la piena comunione, la Chiesa cattolica, allo stesso tempo, ha continuato a sostenere una certa ostentazione verso gli uniati cattolici dei pae­si orientali e ha reso rilevante l’evidenza canonica dell’unione delle chiese orientali con la sede di Pietro. Quindi, agli ortodossi sembra che la Chiesa cattolica parli una lingua doppia.

Problemi emergono anche dal fatto che gli ortodossi e i cattolici non sono liberi di risolvere da soli le loro relazioni davanti al Signore nello spirito di koinonia. Molte questioni sono trattate non nella vera vita di comunione come tra chiese sorelle che stanno sviluppando il dialogo tra loro, ma a livello diplomatico dal Vaticano come stato e dai paesi coinvolti, oppure dalla commissione internazionale composta da teologi dogmatici e da specialisti in storia ecclesiastica.

Dobbiamo anche ricordare che le chiese ortodosse hanno forti legami nazionali. L’Ortodossia non è un’unità compatta. Infine, tra i cattolici si è sviluppato nel corso dei secoli un risentimento riguardo all’atteggiamento sospettoso degli ortodossi nei loro confronti. Gli ortodossi, da parte loro, hanno la percezione che il Vaticano lavori per scardinare il sostegno del loro popolo tramite un inesorabile proselitismo, sostenuto dai grandi fondi e da una lunga esperienza di efficace evangelizzazione. Infatti, siamo più vicini che prima, perciò ci sono più tensioni e conflitti che nel passato quan­do vive­vamo soltanto l’una accanto all’altra.

 

LA COMMISSIONE

TEOLOGICA INTERNAZIONALE

 

La Commissione teologica internazionale cattolico-ortodossa, con la quale i gesuiti hanno collaborato sin dall’inizio (Patmos 1980), ha promosso un dialogo nel quale la carità e soprattutto la verità hanno un posto. La commissione ha preso come punto di partenza quello che c’è in comune e poi ha guardato alle differenze per discernere se esse possono veramente giustificare la separazione. Lo scopo è la piena comunione, la visibile unità della Chiesa di Cristo. Questo significa assumere una vera diversità, ma una diversità riconciliata.

La riunione a Monaco nel 1982 ha prodotto il primo testo in comune tra l’occidente e l’oriente dopo il concilio di Firenze, sul mistero della beata Trinità. Gli accordi sulla vita sacramentale e sui sacramenti dell’iniziazione cristiana dell’incontro di Bari nel 1987, e sul sacerdozio della riunione di Valamo, Finlandia, nel 1988, mostrano che una comune fondazione di fede è sopravvissuta a secoli di separazione. I partecipanti cercavano comunione, piena comunione. Erano coscienti che la comunione rivelata nel Vangelo non è orizzontale – un semplice incontro tra le chiese – ma verticale, cioè la partecipazione di tutte le chiese nella confessione nel medesimo Signore. In questo modo la comunione è orientata al futuro, a Colui che viene, non al passato o a una regressione. Ciò significa non una conversione da una chiesa all’altra, ma la conversione di tutti al Signore. Non è un processo che riduce tutto ad un denominatore comune, ma un arricchimento nel condividere per arrivare alla pienezza di Cristo.

 

I GESUITI

E L’UNITÀ DELLE CHIESE

 

Alcuni credono che l’unione delle Chiese arriverà solo nei tempi escatologici, mentre altri sono dell’opinione che capiterà senza motivo o come passo necessario per sopravvivere. Come gesuiti – continua p. Kolvenbach – dobbiamo incoraggiare la crescita dello spirito ecumenico in accordo con il desiderio appassionato del Signore per l’unità quando e come lui la vuole.

Nel suo breve decreto, forse non abbastanza insistente, la recente Congregazione generale ha riaffermato il sostegno della Compagnia per l’ecumenismo, ritenendola particolarmente adatta per questo lavoro a causa della sua estensione globale e dei numerosi istituti dediti alla formazione nello spirito cristiano.

È vero – si chiede il preposito generale – che siamo adatti per il ministero ecumenico? Nell’esortazione apostolica Vita consecrata, Giovanni Paolo II indica che il sinodo sulla vita consacrata ha affermato il forte legame tra la nostra vita e il pensiero ecumenico (VC 100). Senza dubbio, egli pensa della vita monastica che essa sia strettamente legata ai monaci dell’oriente cristiano, nonostante in alcuni luoghi, p.e. il monte Athos, resista all’ecumenismo. In occidente, è raro trovare opposizione totale all’unione delle chiese. Ci sono però nella vita consacrata alcuni che vedono nell’ecumenismo una minaccia all’integrità della fede e guardano al dialogo come a una specie di mercanteggiamento. Più frequentemente si trovano comunità religiose che danno poco spazio all’ecumenismo, vedendo scarsa importanza in esso e considerandolo un tema per specialisti.

Quindi, si può percepire nei nostri apostolati una mancanza di attenzione alle altre chiese nonostante esse siano “sorelle”. Il fatto che l’ecumenismo è un po’ in ibernazione potrebbe essere un’altra ragione per farci impegnare di più in questo ministero, spesso complesso e senza ricompensa. Giovanni Paolo II ci fa ricordare che la vita consacrata è esistita prima della separazione delle chiese e che le nuove fondazioni in occidente hanno sempre riconosciuto le loro fonti e inspirazione nella vita consacrata dell’oriente.

Vediamo anche quanto sia relativamente facile, per gli ortodossi e i cattolici condividere i temi spirituali. Tutto il progresso nella santità nel seguire Cristo ha un effetto unificante. Per esempio, la comunità di Bose prende ispirazione dall’insegnamento del “monofisita” Matta al-Miskin, padre spirituale del monastero di s. Makarios in Egitto. “La vera unità della Chiesa deve essere cercata soprattutto nella vita spirituale che accetta la debolezza della croce, tramite la quale il potere di Dio si manifesta, stampando la santità sulla faccia dei cristiani. Dobbiamo rifiutare un’unione basata solamente sulla mutua affinità, la formazione di un fronte comune “contro” qualcuno, o un desiderio a crescere di numero” (Prière Esprit Saint et unité chretienne, 1990, p. 191ss).

Nel campo della santità, le mura delle denominazioni non sono insuperabili e il seguire di Cristo è praticato in tutte le chiese. P. Couturier, il pioniere dell’ecumenismo, era convinto che a un certo livello di santità, le forze di divisione perdono la loro potenza. La santità supera la divisione delle chiese. La testimonianza di Michael Ramsey, arcivescovo di Canterbury, è eloquente: “Mentre ci avviciniamo a Cristo, ci avviciniamo nell’unità che lui ha desiderato”.

 

GUARDANDO

AL FUTURO

 

Guardando al futuro, dove dobbiamo mettere l’enfasi riguardo al coinvolgimento dei gesuiti nelle relazioni cattolico-ortodosse? Certo dobbiamo essere guidati dall’insegnamento del magistero, soprattutto il documento conciliare Unitatis redintegratio, il Direttorio ecumenico del Pontificio consiglio per promuovere l’unità dei cristiani, e più recentemente l’enciclica Ut unum sint che rimane ancora l’ultima parola e guida più ricca per le relazioni con gli ortodossi. In questa enciclica, il papa ci esorta a concentrare i nostri sforzi ecumenici su quello che abbiamo in comune. Come esempi, elenca i sacramenti che i cattolici e gli ortodossi condividono, come il battesimo, il sacerdozio e l’eucaristia, i quali insieme formano un legame indistruttibile in Gesù Cristo, e nel mutuo riconoscimento della successione apostolica, che radica le nostre chiese insieme nella comune eredità dagli apostoli. Ci esorta a illuminare il distinto contributo che ogni chiesa ha dato e ancora sta dando all’unico corpo di Cristo. Qui possiamo notare, con il santo padre, la tradizione spirituale e liturgica orientale, la specifica natura del suo sviluppo storico, sui profondi contributi alla tradizione mistica cristiana, la sua attenzione a preservare le antiche discipline della Chiesa, e il suo distintivo modo di esprimere la dottrina cristiana.

Quale metodologia nel dialogo con gli ortodossi? Il primo passo deve comprendere, come in tutte le forme di dialogo, la formazione di genuine amicizie. L’amicizia presuppone fiducia e mutuo sentimento. Date le conseguenze della nostra storia conflittuale, la fiducia è probabilmente l’atteggiamento più difficile da costruire, e richiede pazienza e vero impegno. Abbiamo bisogno del paziente atteggiamento di ascoltare, la costante disponibilità a spiegare, la perseveranza per rimanere sullo stesso tema, la capacità di aprire la porta ai tabù (purificazione di memoria, i crociati, ecc.), l’ospitalità di ricevere l’altro come altro, la volontà di prendere sul serio qualsiasi cosa che può essere ostacolo alla piena unione.

Non possiamo comportarci da dilettanti o divertirci nell’ecumenismo se vogliamo realizzare qualcosa di serio. Dobbiamo impegnarci veramente in questo compito. La testimonianza di quei gesuiti che si sono dedicati tranquillamente e generosamente a stabilire relazioni di amicizia e cooperazione con gli ortodossi evidenzia che è possibile superare i risentimenti e la sfiducia del passato e che c’è molto che possiamo fare insieme.

I metodi adatti per esprimere quell’unità varieranno secondo la nazione e circostanze, ma molte sono state già elaborate nel Direttorio ecumenico del Vaticano. Dobbiamo incoraggiare la preghiera, non solo durante la settimana dell’unità cristiana, ma anche durante l’anno. Possiamo promuovere celebrazioni congiunte delle feste cristiane e dei giorni nazionali. Possiamo cogliere l’occasione di battesimi, matrimoni, ordinazioni e funerali per accogliere caldamente gli ortodossi e includere un messaggio ecumenico nelle omelie e nell’insegnamento. Nei nostri seminari e università, dobbiamo offrire corsi sulla spiritualità, liturgia e pensiero mistico dei cristiani orientali. Possiamo invitare teologi ortodossi, vescovi ecc, per tenere conferenze nelle nostre università, scuole e programmi di formazione. Possiamo incoraggiare la partecipazione degli orientali cattolici e ortodossi nelle comuni associazioni europee, come quelle dei teologi, degli scientisti sociali e dei direttori spirituali. Uno sforzo cosciente deve essere fatto di invitare e integrare le percezioni degli ortodossi e dei cattolici orientali in queste attività.

Deve essere creato un comitato europeo di gesuiti – auspica infine p. Kolvenbach – per esaminare le questioni e trattare problemi del dialogo cattolico-ortodosso. Una rete europea dei gesuiti interessati nelle relazioni cattolico-ortodosse deve inoltre incontrarsi regolarmente per esplorare i modi di approfondire e estendere l’impegno a lavorare per l’unità ecumenica con le chiese ortodosse.

 

E. B.

1_Cf. KOLVENBACH P. H., Il ruolo dei gesuiti nelle relazioni cattolico–ortodosse in Europa: passato, presente e futuro, in Gesuiti in Italia, 9/2002, pp. 339–347.