PRENDE FORMA LA “FAMIGLIA DEHONIANA”

 

REDATTA UNA CARTA_DI COMUNIONE

 

Anche i dehoniani, come tante altre famiglie religiose, stanno aprendosi ad accogliere, come fratelli e sorelle, quanti scelgono di condividere il loro progetto di vita evangelica. Attorno all’istituto sta così crescendo una numerosa “famiglia dehoniana”.

 

In un tempo di “rifondazione” degli istituti religiosi, si va sempre più diffondendo la realtà delle “famiglie” legate agli istituti stessi; senza alcun vincolo giuridico e nel pieno rispetto della propria autonomia, i religiosi di un determinato istituto, eventuali istituti secolari ed eventuali gruppi di laici (che insieme costituiscono appunto una “famiglia”) sono uniti dalla spiritualità e dal carisma di un determinato fondatore. Alle tante “famiglie”esistenti da tempo, si è aggiunta recentemente anche quella “dehoniana”.

Tra gli eventi più significativi del 2002, ha scritto il superiore generale dei dehoniani, p. Virginio Bressanelli nel suo messaggio natalizio per il nuovo anno 2003 alla famiglia dehoniana, c’è anche la domanda di adesione ufficiale da parte di alcuni istituti religiosi e secolari che “condividono il progetto di vita evangelica di padre Dehon e si riconoscono partecipi della stessa grazia fondante”. I religiosi dehoniani per primi “sono chiamati a prendere atto che il carisma di padre Dehon, come dono dello Spirito a tutta la Chiesa, viene ormai partecipato da altri istituti femminili di vita consacrata e da tanti laici, come risposta a una vocazione personale”; di fronte a un fenomeno ormai “universale” nella Chiesa, anche i religiosi dehoniani – sottolinea padre Bressanelli in questo messaggio natalizio, l’ultimo del suo mandato, dal momento che nel prossimo capitolo generale sarà eletto il suo successore – “non possono chiudersi al dinamismo dello Spirito, ma devono aprirsi ad accogliere e sostenere, come fratelli e sorelle, quanti scelgono di condividere con essi il progetto di vita evangelica secondo l’ispirazione del padre Dehon”.

 

DAI “LAICI DEHONIANI”

ALLA “FAMIGLIA DEHONIANA”

 

Nell’ottobre scorso, una buona rappresentanza della famiglia dehoniana – alcuni religiosi dehoniani insieme al superiore generale e al superiore provinciale, p. Luigi Mostarda, alcune rappresentanti dell’istituto secolare della Compagnia missionaria del Sacro Cuore e un nutrito numero di laici – si è ritrovata per una giornata di studio e per la concelebrazione eucaristica presso la basilica di San Luigi a Castiglione delle Stiviere, affidata recentemente alla cura pastorale dei dehoniani; è stata un’ulteriore occasione per riflettere insieme sul cammino finora percorso e su quello da compiere per il futuro.

Alla fine del 2001, dopo un lungo periodo di riflessione e di sperimentazione, è stata definitivamente approvata una Carta di comunione per la famiglia dehoniana insieme ad una Proposta di vita per i laici dehoniani. Se già negli anni 1980 si è incominciato a parlare concretamente di “laici dehoniani”, ha detto il superiore generale nell’incontro di Castiglione delle Stiviere, un decennio dopo è andata invece affermandosi con più chiarezza la coscienza di una possibile “famiglia dehoniana” quale “frutto della condivisione di uno stesso dono o progetto di vita secondo il vangelo, dato attraverso padre Dehon a tutta la Chiesa”, un dono che “si diffonde per opera dello Spirito e suscita la comunione di diverse vocazioni nello stesso carisma, per condividerne spiritualità e partecipare alla missione di Cristo nella Chiesa”.

Cercando di esplicitare le chiavi di lettura della Carta di comunione della famiglia dehoniana, il padre Bressanelli non poteva non partire proprio dal concilio Vaticano II che ha cambiato la prospettiva del rapporto tra le diverse realtà e le diverse vocazioni all’interno della vita ecclesiale; da lì infatti è nata una nuova ecclesiologia, una nuova teologia delle vocazioni e degli stati di vita all’interno della Chiesa; da lì ancora sono nate nuove prospettive circa la missione cristiana nel mondo e anche una nuova sete di spiritualità in tanti credenti più seriamente impegnati. È sempre stato il concilio a evidenziare la complementarietà delle differenti vocazioni nella Chiesa chiamate a essere insieme testimoni del Signore risorto in ogni situazione e luogo di vita. “L’incontro e la collaborazione tra religiosi, religiose (consacrate) e fedeli laici in particolare, leggiamo nel documento Vita fraterna in comunità, appare come un esempio di comunione ecclesiale e allo stesso tempo potenzia le energie apostoliche per l’evangelizzazione del mondo”.

La Carta di comunione della famiglia dehoniana, ha detto il superiore generale, vuole essere in qualche modo una “carta d’intesa”, o meglio ancora una “carta di identità” delle diverse componenti di questa famiglia che fanno riferimento al progetto di vita secondo il vangelo, ereditato da padre Dehon. Questo documento non è stato redatto “solo per farci conoscere da altri”; è stato pensato prima di tutto “per conoscere meglio noi stessi, per vedere se ci troviamo veramente in questa linea, se ci troviamo come dehoniani in un rapporto di famiglia”. Non avrebbe senso parlare di comunione, parlare di famiglia, se non fossero acquisiti in partenza i presupposti fondamentali della comunione ecclesiale, vale a dire la comune vocazione battesimale, la universale chiamata alla santità, la conseguente partecipazione alla missione di Cristo nella Chiesa e nella società. Solo partendo da questi presupposti è allora possibile valorizzare la diversità e la complementarietà delle vocazioni nella Chiesa; tutto questo comporta il pieno riconoscimento della identità propria di ogni vocazione, la sua specificità apostolica, il suo ambito naturale di vita e di servizio, la sua autonomia organizzativa.

 

SPIRITUALITÀ

DEHONIANA

 

Poste queste premesse è allora possibile parlare di una eredità comune riconducibile al progetto di vita del padre Dehon; i valori di fondo della sua spiritualità personale e di quella proposta ai suoi figli, sono desunti direttamente dal mistero della incarnazione, dall’oblazione di Cristo (Ecce venio) e da quella di Maria (Ecce ancilla). Concretamente padre Dehon, con un linguaggio proprio di tutta una tradizione spirituale della seconda metà dell’ottocento, parla allora di oblazione, di riparazione, di amore gratuito, di abbandono fiducioso nel Signore, di compassione, misericordia e solidarietà verso il prossimo, di impegno missionario, sociale, culturale, di passione per la verità, la giustizia e la dignità umana e, come è sintetizzato nella regola di vita dei dehoniani, di “profezia dell’amore” e di “servizio della riconciliazione”.

Solo nella condivisione di questo patrimonio ispirante e comune è possibile parlare di una “famiglia dehoniana”, nell’assoluto rispetto e nella complementarietà della vocazione specifica e della missione particolare di ognuno nella Chiesa. “Si deve fare molta attenzione, ha affermato padre Bressanelli, a non sminuire la vocazione propria. Se, per esempio, un laico nel diventare membro della famiglia dehoniana diventa meno laico, nel senso di vocazione laicale e di impegno nelle realtà temporali, quella spiritualità non è autentica. La spiritualità deve aiutarci a rivalutare profondamente la nostra realtà; ed è per questo che nei rapporti fra le componenti bisognerà stare attenti a non creare dipendenza o esigenze che distolgano dalla realtà nella quale ognuno è chiamato a vivere, sia come gruppo che come persona”.

È altrettanto importante poi non confondere i rapporti di famiglia con le possibili collaborazioni in opere concrete; questa collaborazione può anche esserci; in determinate situazioni non solo può essere molto utile ma anche necessaria; ma questa prospettiva “non è la finalità della famiglia dehoniana”; il suo obiettivo di fondo non è quello appunto di collaborare in opere specifiche, quanto piuttosto quello di realizzare nella pluralità di vocazioni e in opere diverse la stessa “prospettiva di missione”, quella cioè di “instaurare il regno del cuore di Gesù nelle anime e nella società”.

Questa prospettiva, ha precisato ancora padre Bressanelli, è fondamentale; è importante proprio per mantenere l’autonomia delle diverse realtà ecclesiali; solo a queste condizioni è possibile che ognuno impari a essere dehoniano nel proprio ambiente naturale non riconducibile immediatamente a quello religioso vero e proprio, ma più ordinariamente a quello di un matrimonio, di una famiglia. È possibile che in certe realtà storiche “si arrivi a collaborare anche nell’opera concreta”; può essere anzi molto bello, “ma non sempre è così, né deve essere necessariamente così”.

 

I SOGNI

DI PADRE DEHON

 

L’insistenza del superiore generale sull’assoluto rispetto della propria specifica vocazione cristiana anche nell’ambito di una auspicabile “famiglia dehoniana”, ha forse sorpreso più d’uno nell’incontro di Castiglione delle Stiviere; così come quando ha precisato che “non tutti i laici che sono in rapporto con i religiosi dehoniani sono chiamati a vivere questa vocazione”. Pensiamo infatti a tutti i laici che i dehoniani incontrano nelle loro numerose comunità parrocchiali, nelle missioni, nei tanti centri di spiritualità e nelle case di accoglienza, nello loro poche ma significative realtà di impegno sociale; pensiamo soprattutto ai potenziali lettori laici delle riviste e delle pubblicazioni del Centro dehoniano di Bologna. Nella Chiesa, ha aggiunto ancora, “esiste una pluralità di spiritualità; ognuno deve essere fedele alla mozione dello Spirito; perché sono tutte le spiritualità insieme che fanno la ricchezza della Chiesa e manifestano nella sua totalità il mistero di Cristo”. La eventuale adesione stessa alla “famiglia dehoniana” ha una dimen­sione che “va oltre la nostra persona e la nostra storia; perché noi siamo Chiesa per evangelizzare, per far presente il mistero di Cristo nel mondo”.

A una specifica domanda su che cosa possiamo fare in concreto, oggi, padre Bressanelli ha dato una risposta che vale significativamente non solo per i membri della famiglia dehoniana ma anche di ogni altra famiglia aggregata ad un istituto religioso. L’urgenza più immediata, in una situazione come l’attuale, è quella di “tradurre il messaggio dehoniano in un nuovo linguaggio e di trasmetterlo attraverso una metodologia propria”; ed è anzi possibile che proprio i laici siano in grado di aiutare i religiosi a tradurre questo linguaggio “in termini, segni e opere più attuali, significativi e attraenti”.

Non senza un afflato poetico, quasi a testamento del suo secondo sessennio di servizio come superiore generale, padre Bressanelli ha potuto dire: “Padre Dehon è un uomo che ha sognato molto, un uomo super-attivo, capace di tradurre in realtà tanti sogni. Ma certi suoi sogni si sono concretizzati dopo tanti anni; alcuni di essi non sono ancora, fino ad oggi, diventati realtà. L’ispirazione carismatica è sempre più grande delle realizzazioni concrete, storiche; essa, inoltre, è sempre più grande del sogno, perché chi sogna il carisma è lo Spirito, non la persona chiamata ad incarnarlo”.

 

Angelo Arrighini