RELIGIOSI DELLO SPIRITO SANTO

 

COMUNITA’_INTERCULTURALI

 

Da molti anni i religiosi spiritani sperimentavano una internazionalità che avrebbe determinato un rinnovamento ad hoc delle loro numerose comunità in tutto il mondo. Ora vi si preparano in vista del prossimo Capitolo generale.

 

La congregazione dello Spirito Santo o, nel linguaggio corrente, degli spiritani è stata fondata nel 1703 da Claude-Francois Poullart des Places col preciso scopo di “evangelizzare i poveri”. È quanto ripete la loro Regola di vita (RVS) del 1987, specificando ancora la finalità educativa particolarmente del clero, le missioni ad gentes e l’attività sociale.

I trecento anni trascorsi dalla loro fondazione hanno visto gli spiritani diffondersi dall’Europa in tutti gli altri continenti con un numero di comunità sempre più elevato e dalla seconda metà del secolo scorso connotato da crescente internazionalità. Così che a poco a poco – leggiamo su Information/Documentation del Consiglio generale (dicembre 2002) – la congregazione ha acquistato un nuovo volto, segnato sia da un tipo di raggruppamento delle comunità diverso da quello del passato sia dal diverso stile di vita fraterna che le comunità divenute più largamente interculturali sono chiamate a consolidare e nei modi più appropriati secondo il loro carisma.

Di tale questione si occuperà tra le altre il prossimo Capitolo generale degli spiritani, convocato per i giorni 20 giugno - 17 luglio 2004 dal superio­re generale p. Pierre Schouver; il quale nella sua lettera di convocazione del capitolo sottolinea appunto il fatto dei grandi cambiamenti che la congregazione attraversa a causa delle spiccate differenze di origine, di cultura e di esperienza dei suoi membri. E propone a considerare anzitutto un fatto di importanza decisiva: la maggior parte dei giovani confratelli proviene dall’emisfero sud del globo, mentre a dare il tono alla vita spiritana è fino a questo momento l’emisfero nord.

 

COME SI È GIUNTI

AL VOLTO ATTUALE

 

Una conferma all’osservazione fatta dal superiore generale si può avere considerando che – come egli stesso informa nella lettera citata – nell’anno duemila su 74 giovani confratelli sacerdoti alla loro prima destinazione 59 sono africani, otto latinoamericani e dei Caraibi, uno dell’Oceania e sei sono europei.

Tutta la congregazione è chiamata pertanto a contribuire mediante il racconto di esperienze e la comunicazione di desideri e di proposte alla riflessione comune in ordine alla migliore ridefinizione del volto carismatico spiritano a partire dalla interculturalità delle comunità.

Il citato foglio Information/Documentation riporta le prime risposte a un questionario, inviato sull’argomento a tutti gli spiritani, facendole precedere in rapida sintesi dal racconto delle tappe storiche che hanno portato la congregazione al volto internazionale odierno.

Nata in Europa, già sotto il fondatore la congregazione mandò missionari verso l’America del Nord, l’Asia e le coste dell’Africa occidentale; e quantunque l’Africa sia stata e sia rimasta privilegiata dalla missione spiritana che vi fissò profonde radici, numerose altre comunità si stanziarono nei cinque continenti, dedicandosi con speciale attenzione e cura in tutti i sensi alle popolazioni che trovavano più sfavorite anche dal punto di vista vocazionale.

Ed è vero – si legge ancora – che molte circoscrizioni sono divenute internazionali per necessità e opportunità, come frutto dell’evoluzione del mondo e delle società, ma è pure vero che era stata una scelta della congregazione spiritana; oggi, ripensando il tutto, si è convinti che la interculturalità sia una realtà da “mettere in piedi” in modo progressivo.

Ma ecco come gli spiritani rispondono al questionario.

 

MOLTE CULTURE

PIÙ RISORSE

 

La presenza di un istituto internazionale – scrivono dal Sudafrica – rende più evidente nella chiesa locale la cattolicità della Chiesa universale e le evita di ripiegarsi su se stessa; in un mondo nel quale le persone appaiono diffidenti e paurose le une delle altre e dove si drizzano barriere di vario genere, la vita di una comunità internazionale e interculturale offre una testimonianza concreta e vissuta del regno di Dio che non ha confini.

Inoltre, il fatto di appartenere a culture differenti ci invita – testimoniano altri dall’Africa orientale – a superare l’etnocentrismo culturale e religioso e ci aiuta a immergerci nella conoscenza del popolo e della cultura locale, a essere più vicini alla gente, a integrarci meglio nella chiesa locale superando il rischio di farla diventare una copia della propria chiesa di provenienza.

Altri parlano dal Paraguay della internazionalità come di una benedizione: si comincia con quasi niente in comune e a poco a poco si costruisce una vera comunità. L’internazionalità ci rende liberi perché possiamo stabilire relazioni umane basate sul servizio al popolo più che sui nostri sentimenti, accogliere nuovi modi di comunicare, inventare inediti riti dell’amicizia.

La vita internazionale – rispondono dal Pakistan – favorisce la solidarietà entro la stessa congregazione per poi espandersi in un arco più vasto; e dall’Amazzonia i religiosi affermano che la missione internazionale incentiva il dinamismo e l’inventiva anche in campo pastorale.

Un altro punto sul quale gli spiritani erano stati interpellati riguarda i riflessi dell’internazionalità sulle persone che compongono le comunità. A tal proposito vengono segnalati la crescita personale circa la visione del mondo, la capacità di tolleranza all’esterno e di amore unificante all’interno. Ci si appassiona pure – testimonia un religioso dalla Francia – nel conoscere i tratti culturali reciproci, nell’esercitarsi su lingue diverse e scambiarsi le tradizioni orali: tutto ciò in una comunità interculturale favorisce il mantenimento della pace e quasi una trasformazione in positivo delle persone.

 

POSTE IN GIOCO

E DIFFICOLTÀ

 

Scrive il consiglio generale, sintetizzando le risposte riguardanti le sfide che le comunità interculturali possono ricevere, che se sono evidenti i vantaggi per la vita in comunità interculturale, non bisogna nascondere le sfide e le difficoltà alle quali i vantaggi sono legati. Essa infatti richiede sforzi, sacrifici, distacco, una conversione che porti ad approfondire il carisma, all’edificazione della mutua fiducia e a una vita di grande disponibilità: poiché, come scrivono i confratelli da Taiwan, dal Pakistan, dal Paraguay e dalla Francia non soltanto è indispensabile, per saper entrare in una diversa cultura, essere ben radicati nella propria, ma non può non sorgere la necessità di trovare il giusto equilibrio tra radicamento personale e apertura agli altri.

Non sono mancate, tra le posizioni comunicate nelle risposte al questionario, quelle segnalanti alcune riserve verso i gruppi internazionali. Sono riserve e qualche dubbio su cui riflettere, motivati dalla considerazione che talora il rapporto interculturale si vive con disagio e ciò può aumentare tensioni forse già esistenti nella comunità rendendo di conseguenza meno efficace anche il lavoro pastorale.

Senza dubbio altre questioni di portata generale come quelle riguardanti la gestione economica, l’autonomia e l’interdipendenza dei gruppi internazionali esigono di essere trattate a livello di vertice; e su ciò viene espressa la massima fiducia nel senso di appartenenza e di solidarietà che anima la congregazione spiritana. La cui vitalità si è affidata quest’anno, per la migliore celebrazione del terzo centenario di fondazione, alle opportunità di rinnovamento comune offerte dall’Anno spiritano,1 che aperto il 2 febbraio 2002 si chiuderà nella Pentecoste del 2003: nel segno dello Spirito Santo che continua a vivificare il suo dono.

 

GUARDANDO

AL FUTURO

 

Con lo sguardo verso il futuro i redattori di Information/Documentation hanno formulato una serie di proposte che riguardano la preparazione alla vita internazionale/interculturale nella formazione iniziale. Esse chiedono anzitutto, e sempre tenendo presente il carisma spiritano, di dare a ciascun giovane la possibilità di vivere una parte della propria formazione in una comunità internazionale; quindi di offrire loro la possibilità di fare una vera esperienza interculturale, di favorire l’apprendimento delle lingue, di organizzare dove possibile incontri internazionali tra giovani in formazione.

Suggerimenti vengono dati anche per la vita delle comunità già interculturali. Su una linea potenzialmente unificante, si propone di accettare lo sforzo di parlare una lingua comune, possibilmente quella del paese in cui si opera, come occasione in più di consolidare i legami tra confratelli; anche la cultura di maggior riferimento dovrebbe essere quella del paese dove si vive. Si consiglia inoltre di essere fedeli all’impegno di comunicare tra confratelli in una vita di relazione costruttiva, ma pure di stare attenti, nello stesso tempo, al fatto che vi sono culture molto riservate per quanto riguarda la vita intima e familiare delle persone.

Concludendo, il consiglio generale degli spiritani ricorda nel documento più volte citato che l’attuale movimento di globalizzazione tende a livellare tutto e a fare tabula rasa della differenze culturali; e che lo stile di vita spiritano dovrà, al contrario, vivere l’internazionalità rispettando e promuovendo la diversità delle persone e delle culture, tra il radicamento di ognuno nella cultura d’origine e tutto ciò che l’impegno missionario comporta.

Zelia Pani

1_Sull’anno spiritano cf. Testimoni 8/2002,9: Con la fede nello Spirito.