BENEDETTINE DEL SS. SACRAMENTO

 

A 350 ANNI_DALLA FONDAZIONE

 

Fondate da madre Mectilde de Bar, hanno al centro della loro spiritualità l’adorazione perpetua e la riparazione eucaristica. È una spiritualità innestata sul grande ceppo della regola di san Benedetto.

 

La Francia del 1600, come buona parte dell’Europa, vive in pieno gli avvenimenti che agitano la Chiesa e la società del tempo. Il paese è dilaniato dalle controversie tra cattolici e protestanti ed è teatro di numerosi conflitti.

Anche la Chiesa, nel suo cammino, fa esperienza del peccato e della redenzione assaporando l’amarezza degli sbagli e la gioia del riscatto. Accanto alla Chiesa ufficiale, istituzionalizzata, potente e sfarzosamente barocca, c’è la Chiesa degli umili, dei poveri, dei senza voce, di coloro che vivono il Vangelo in modo genuino, non imprigionato da disquisizioni dottrinali o eversive: c’è la Chiesa degli indifesi, dei disarmati, di coloro che non gridano per farsi sentire, che sanno aspettare. È la Chiesa dei giganti che appaiono insignificanti alla mentalità del mondo.

Il 1600 è definito il secolo d’oro della spiritualità francese: è un tempo in cui emergono grandi figure quali Olier, Giovanni

Eudes, Bérulle, Fénelon, Bernières, Pascal. All’interno di questa

spiritualità s’inserisce la figura e l’opera di madre Mectilde de Bar, fondatrice delle benedettine del Santissimo Sacramento

di cui, quest’anno 2003 ricorre il 350° di fondazione.

Nata in Lorena, a Saint-Dié, nel 1614, Catherine de Bar è protagonista di una singolare vicenda biografica, ma soprattutto di un cammino di ascesi veramente eccezionale. La sua lunga vita – è morta nel 1698 – abbraccia quasi per intero il ‘600 assorbendone in pieno la tradizione e certe restrizioni mentali, soprattutto il rigorismo e il linguaggio religioso austero e pessimista. Ma, e qui sta la la sua originalità, pur rimanendone legata, si distacca decisamente dal suo tempo anticipando intuizioni che diventeranno conquiste degli anni futuri con una libertà intellettuale e una lucidità che rendono attendibili, e profondamente fedeli all’ortodossia, le sue riflessioni teologiche e gli insegnamenti trasmessi attraverso i suoi numerosi scritti.

Catherine de Bar, in religione Mectilde del Santissimo Sacramento, è una testimone del suo tempo in quanto coinvolta e spettatrice attenta dei numerosi avvenimenti che hanno inciso profondamente nel suo cammino di maturazione. La storiografia è scritta a partire dai documenti e da quanto i suoi contemporanei ci hanno tramandato; è redatta da archeologi, storici, ma la storia vera è quella vissuta e testimoniata dalle tante piccole storie di uomini e donne che hanno portato nella propria carne tracce indelebili del loro tempo. Ecco, allora, che anche la sua vocazione religiosa nasce e si alimenta nel contesto storico, sociale e culturale che le fa da humus e che, in certo senso, sollecita le provocazioni dello Spirito Santo il quale ispira la varietà dei carismi come risposta in quel tempo, per quel tempo e, con quel tempo, ai tempi futuri.

Le profanazioni delle chiese compiute dagli eserciti mercenari, la decadenza morale di certi ambienti ecclesiastici, il diffondersi di movimenti ideologici eretici hanno attivato nell’animo forte e sensibile di madre Mectilde una serie di meccanismi di orrore, di protesta, di reazione fattiva e in sintonia con le disposizioni del concilio di Trento che sono alla base della fondazione a Parigi, nel 1653, dell’istituto delle benedettine dell’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento, dove la perpetuità non è solo un modo di fare ma, soprattutto, di essere. La madre esorta così in una delle sue conferenze: “La nostra adorazione deve essere perpetua, poiché il medesimo Dio che adoriamo nel Santissimo Sacramento ci è sempre presente in ogni luogo. Dobbiamo adorarlo in spirito e verità. In spirito con un santo raccoglimento interiore; in verità, facendo sì che tutte le nostre osservanze siano un’adorazione continua grazie alla nostra fedeltà nel darci a Dio in tutto ciò che domanda da noi. Poiché appena manchiamo di fedeltà, cessiamo di adorare”.1

Tutta l’esistenza diventa adorazione, anche la ferialità di riti che si ripetono in modo sempre nuovo e fecondo. Le figlie del Santissimo Sacramento vivono la loro consacrazione come un dono di amore che si concretizza nell’ideale dell’adorazione e della riparazione eucaristica. Dalla messa si dirama tutta la giornata religiosa delle monache e dalla testimonianza delle monache la sacralità della preghiera si espande a quanti bussano alla porta del monastero e, attraverso loro, al mondo intero.

L’Eucaristia, centro e culmine della vita liturgica, trova il suo spazio preminente in una spiritualità, quelle benedettina, che imposta la vita monastica in modo fortemente teocentrico e cristologico. Madre Mectilde de Bar, infatti, ha sapientemente innestato nel glorioso albero benedettino il carisma dell’adorazione inteso come cooperazione vicaria con Cristo che si è incarnato per la salvezza del mondo. La regola di san Benedetto ben si presta a rendere possibile e centrale nella vita di queste monache l’oblatività di una contemplazione del mistero eucaristico che diventa azione e missione.

L’intuizione più forte di madre Mectilde, nata dalla spiritualità secentesca ma aperta a prospettive attuali anche per il terzo millennio, è caratterizzata dal voto in qualità di vittima dove la parola vittima deve essere letta nell’accezione positiva del gesto generoso e disinteressato di chi, pur riconoscendo la propria fragilità e miseria, si fa solidale con la condizione di peccato di ogni fratello. Essere vittima, che è ben lungi dal vittimismo, vuol dire riconoscere davanti alla grandezza di Dio la propria piccolezza, il, proprio nulla, imitando ciò che san Paolo dice, nella lettera ai filippesi, di Cristo che umiliò se stesso facendosi servo per obbedienza sino alla morte di croce. L’annientamento non mortifica la persona, non crea frustrazioni o avvilimento dell’individualità, ma conduce a un cammino di verità di se stessi che si fa accettazione gioiosa e serena.

Fondamentale nella spiritualità mectildiana è la devozione alla Vergine Maria, prima adoratrice del Verbo e discepola silenziosa del Figlio. Si tratta di una devozione concreta, non sentimentale, che contribuisce a rafforzare la lettura teologica, ancora insufficiente nel ’600, di una mariologia intesa come partecipazione al mistero redentivo di Cristo. Molte considerazioni di madre Mectilde sul ruolo della Madonna sono tanto vicine alle affermazioni di Luigi Maria Grignion de Montfort, suo contemporaneo, che sono alla base delle attuali riflessioni teologiche. Per le benedettine del Santissimo Sacramento, Maria è l’abbadessa rappresentata dalla priora che la rappresenta nella comunità.

L’istituto fondato da madre Mectilde si è presto diffuso in altri paesi europei e dal 1890 anche in Italia. Da 350 anni è come una fiaccola sempre accesa davanti al tabernacolo; è una luce che indica una presenza silenziosa, ma l’unica capace di sostenere il mondo. Anche oggi Gesù è senza voce di fronte alle ambizioni smisurate di successo e di potere degli uomini, di fronte alle offese contro la dignità della persona, agli orrori delle guerre e dei compromessi politici, di fronte alla perdita dei valori e alle divisioni egoistiche. Gesù viene continuamente dimenticato, offeso, profanato… eppure continua a esse lui stesso adorazione e riparazione del mondo, continua ad amare follemente l’umanità in un sacrificio di sé che lo vede glorioso nella luce pasquale, ma angustiato e sofferente nelle sue membra che piangono e gemono.

La vocazione di madre Mectilde e delle sue figlie è di voler fare da cassa di risonanza al dono supremo del Signore che cammina con i passi degli uomini e si fa cibo per la loro esistenza. Adorare diventa allora riconoscere questo dono incarnandolo nella vita di ogni giorno in gesti concreti di comunione e di pace, a servizio della pace e della carità. Riparare diventa accogliere questo dono e annunciare a tutti che la salvezza ha il sapore del Pane e il colore del Vino.

 

Le benedettine del SS. Sacramento di Catania

 

1 CATHERINE DE BAR, L’anno liturgico, Glossa, Milano 1997, 13.