PROSEGUE LA RIFLESSIONE DI P. FERREIRA

 

LA MISSIONE_IL VOLTO DEL FUTURO

 

Secondo p. Lopes Ferreira, superiore generale dei comboniani, la missione del futuro dovrà essere kerigmatica, carismatica, profetica, ecumenica e integrata. Bisognerà passare attraverso l’esodo da noi stessi, dalla nostra visione, dai nostri piani.

 

Con una lettera dal titolo La nostra missione. Il volto del futuro, p. Manuel A. Lopes Ferreira (superiore generale dei missionari comboniani) ha continuato la sua riflessione sul futuro della missione nella Chiesa del secolo XXI. Si tratta di una riflessione proposta come “esercizio di discernimento”, nel momento in cui l’istituto si sta preparando al XVI capitolo generale.1

Facendo esplicito riferimento alla chiesa apostolica nata dall’effusione dello Spirito, p. Ferriera ha innanzitutto messo l’accento sull’attuale fase di riscoperta della forza del primo annuncio cristiano e della centralità della parola di Dio, riscontrabile per esempio nei movimenti e nelle nuove comunità ecclesiali.

“Nella nostra metodologia mis­sionaria abbiamo una tradizione che dava centralità al kerigma, alla catechesi, a una teologia kerig­matica e alla formazione ai mini­steri in funzione della Parola (an­nuncio, catechesi, parenesi). Que­sta tradizione puntava molto su una visione kerigmatica della teo­logia, sull’interesse per la cateche­si e la parenesi, sulla formazione dei laici per il servizio della Paro­la. Oggi un osservatore attento può constatare che si è ve­rificato un allontanamento dalla Parola: l’interesse per la Scrittura e la teologia kerigmatica sembra essere diminuito; corsi e centri catechetici non attraggono più i giovani missionari; l’interesse per la Parola è diminuito (non si stu­diano più con passione le lingue e le culture); al servizio della Parola viene dato troppo poco tempo al giorno e alla settimana (magari per dedicare il tempo migliore della giornata e della settimana al servizio sociale, alle costruzioni)”.

Convinto che la missione del futuro “ripar­tirà da Cristo” testimoniato nella vita e annunziato nel kerigma, p. Ferreira punta dunque sul ritorno alla Parola in tutte le sue dimensioni, e non solo nell’e­vangelizzazione: “Occorre anche vedere che spazio ha il ke­rigma, che centralità ha la Parola nella nostra formazione di base e formazione permanente. Occorre chiederci che spazio hanno il kerigma e la parola della testimonianza personale nella nostra animazio­ne missionaria, in un tempo in cui si tende ad affidare tutto alla me­diazione di altri mezzi (media, immagini virtuali, riviste, scrit­ti...). Occorre anche verificare che spazio ha il kerigma cristiano nel nostro impegno per la giustizia e la pace”. In questo senso ogni missionario/a dovrà essere sempre più uomo/donna della Parola accolta nella preghiera, testimoniata nella vita, condivisa nel dialogo, annunziata nella predicazione.

Su questo fondamento allora la missione non potrà non esprimere una più chiara manifestazione della varietà dei doni e dei carismi. “Anche nella nostra famiglia missionaria comboniana abbia­mo una ricca tradizione di varietà di carismi e di doni per la missio­ne: sacerdoti, i fratelli, le sorel­le, i laici… Ma la coscienza di questa varietà e della specificità di ognuno, si è molto indebolita: vi­viamo e pensiamo a un modello di missione (sia nell’evangelizza­zio­ne, che nella formazione e anima­zione missionaria) dipendente dal ministero ordinato… Abbiamo dato origi­ne a una notevole confusione e sovversione di ministeri (preti che fanno un servizio missionario proprio dei laici, fratelli che non sanno come vivere il loro ministe­ro, sacerdoti che non riconoscono il ruolo dei laici e della suora nel­la missione, suore e fratelli che vorrebbero fare il prete). Una missione più carismatica ci darà coraggio per mettere ordine in questa confusione e per risponde­re ad alcune domande che atten­dono una risposta soddisfacente: quando lasceremo ai fratelli quello che è loro proprio? quando riconosceremo il ruolo della don­na nella missione? quando permet­teremo uno spazio significati­vo ai laici missionari combonia­ni, passando loro opere e inizia­tive proprie dei laici e svolte ora da sacerdoti?”. Dietro queste considerazioni cogliamo l’urgenza di tenere ben in evidenza il vero protagonista della missione (lo Spirito, fonte dei carismi) per lavorare in contesto di reciprocità, aperti al discer­nimen­to e alla supervisione apostolica, superando il miraggio di una missione “a propria misura”.

 

PROFEZIA, ECUMENICITÀ

E SANTITÀ COMUNITARIA

 

Proprio la visione circa la centralità della parola di Dio e il protagonismo dello Spirito consentono al superiore dei comboniani di cogliere gli altri tre tratti distintivi della missione aperta alla società e capace di cogliere le sfide del futuro. Egli chiede di puntare su una missione più profetica, più ecumenica e più integrata.

Per superare una lettura parziale della profezia (denunciare, rispondere ai bisogni della gente, fare colpo o apparire sui media) e per uscire dai comportamenti che la mortificano (intolleranza, moralismo, legalismo) occorre infatti mettersi in ascolto dello Spirito che si rivela nella storia per fare emergere il punto di vista di Dio su di essa. “Nella missione del futuro, di certo, il profetismo ci sarà, ma sarà quello che ci fa andare oltre la denuncia e la proposta, un pro­fetismo che ci rende capaci di ca­pire i cambiamenti epocali della storia, di animare e sostenere la speranza della gente, di risveglia­re la capacità di risposta degli adulti, di liberare la creatività dei giovani e la saggezza dei vecchi. La missione del futuro avrà certa­mente un compito nella trasfor­mazione sociale. Ma il ruolo che essa ci riserverà, come missionari di Cristo, non sarà tanto il fare ma il far fare, il proporre una vi­sione, il sostenere i laici, l’anima­re la Chiesa locale, la società civi­le e gli agenti della trasformazio­ne sociale. Perché più profetica, la missio­ne del futuro sarà la missione del­le frontiere, in un movimento che, partendo dal cuore della Chiesa, raggiunga le sue frontiere. Questa tensione fa parte dell’identità del missionario/a che, in una dinami­ca di identificazione e di fedeltà, vive sulle frontiere senza lasciare di sentirsi nel cuore della Chiesa. È questa che lo spinge a vivere la missione sulle nuove frontiere delle periferie, della gioventù sen­za speranza, delle situazioni di nigrizia (bambini di strada, malati di aids, nuove schiavitù, situa­zioni di esclusione), della trasfor­mazione della società, dei mass media, del lavoro per la riconcilia­zione e la pace”.

E ancora, proprio la lettura dei segni dei tempi ci dice che stiamo andando verso un unico mondo globale in continua interazione e che occorre uscire dunque dalla logica missionaria a senso unico (dal nord ricco al sud po­vero, dall’Europa all’Africa, dal mondo cristiano al mondo paga­no) per entrare in quella dialogico-ecumenica. “La missione del futuro avrà allora l’oikumene come suo contesto – afferma p. Ferreira – un’unica arena dove tutti i popoli e tutte le culture si incontreranno e si scontreranno. Non avrà più senso pensare alla missione solo come a un partire per un al­tro mondo, né come originante dal nostro piccolo mondo da cui portare e offrire le nostre illusio­ni. Dovremo fare missione in un unico campo aperto, esposto ai venti delle novità della storia, alle scosse dell’economia, alle intera­zioni della cultura e della politica. Quella del futuro sarà una mis­sione portata avanti in un dialogo di vita e di fede, che cerca la tra­sformazione sociale e la condivi­sione dei valori e delle esperienze religiose. La missione del futuro, in un mondo ravvicinato dalla comuni­cazione sociale e dalla interazione economica, si prenderà cura della trasformazione delle relazioni tra le persone, tra i gruppi, tra le ge­nerazioni, tra le religioni e tra le culture; farà da madre al tanto necessario passaggio dall’esclu­sione all’inclusione, dal conflitto alla riconciliazione. La missione del passato ci chie­deva l’esodo, la capacità di uscire geograficamente dalla nostra ter­ra, cultura, nazione, Chiesa. L’eso­do rimarrà dominante nella spiri­tualità e nella prassi della missio­ne del futuro. Ma dall’uscire geo­grafico, la missione del futuro ci farà passare all’esodo spirituale: è l’esodo da noi stessi, dalla nostra visione, dai nostri piani. Nel pas­sato abbiamo eroicamente vissuto l’esodo fisico, per poi magari get­tare radici profonde là dove siamo arrivati, perdendo la capacità di itineranza e il senso della provvi­sorietà. Al di là dell’esodo fisico e nazionale, la missione del futuro ci farà uscire ancora di più dalla nostra cultura e Chiesa, ci farà ac­cogliere sensibilità nuove e sco­prire nuove visioni, ci farà assu­mere la precarietà e vivere l’itine­ranza”.

 

Questo processo sta chiaramente facendo emergere a livello culturale e spirituale l’esigenza di una maggiore integrazione, di una migliore qualità di vita: “A questo desiderio di qualità di vita, a tutti i livelli, la tradizione cristiana dà un nome preciso: santità di vita!”, che si manifesta nell’armonia della vita e della testimonianza del missio­nario/a. Su questa linea p. Ferreira conclude sottolineando che una missione più integrata è in fin dei conti una missione vissuta nella coscienza della comunione come frutto dello Spirito.

“La missione del futuro sarà una missione portata avanti in comu­nione e fraternità, dove il fare as­sieme sarà specifico del missio­nario/a. La missione è un fatto di Chiesa e non un affare personale, Abbiamo la fraternità per la mis­sione (il cenacolo di apostoli per la nigrizia) come parte integrante della nostra tradizione combonia­na. Dovremmo, quindi, essere ben piazzati per la missione del futuro! Ma il protagonismo e l’indivi­dualismo rischiano ogni giorno di farci dimenticare questa dimen­sione del nostro carisma e di por­tare avanti una missione mancan­te di integrazione tra individuo e comunità, tra progetto personale e progetto istituzionale. Inoltre, le difficoltà di rapporti e di collabo­razione tra giovani e anziani, i conflitti di vedute (o la sua visione o la mia!) e di personalità (o io o lui!) minacciano di tenerci prigio­nieri di una missione che ha fatto il suo tempo e che non ha più fu­turo. La missione integrata è quella percepita come grazia ricevuta dal Padre nello Spirito e vissuta con le braccia aperte per condividerla con i fratelli e le sorelle. Essa fug­ge la tentazione di assicurarsi la realizzazione dei piani e dei pro­getti personali. La missione inte­grata cerca l’armonia tra parola e vita, tra esperienza cristiana sacramentale e immersione nella società che si vuole trasformare con il fermento del vangelo. L’integrazione della missione è una sfida quotidiana, da riprendere ogni giorno con il meglio delle nostre forze, nell’umiltà di chi vi­ve una missione più grande di noi stessi. Un’integrazione che non sarà mai perfetta ed esauriente, ma portata avanti nella speranza e nella certezza che è un compito che va al di là dell’individuo e che solo in fraternità si può realizza­re. Solo la comunità garantisce l’integrazione delle varie e molte­plici dimensioni della nostra mis­sione… Così come una missione disin­tegrata porta disagio e sofferenza, una missione integrata porta gioia, la gioia nella fedeltà che dà vita al nostro futuro”.

 

A cura di Mario Chiaro

 

1_I precedenti articoli che hanno come argomento la missione ricavati da lettere di p. Ferreira sono apparsi in Testimoni nel seguente ordine: Di fronte ai cambiamenti epocali (n. 11/2000, p. 15); Prendere il largo… ma in quale mare (n. 20/2001, p. 11); I nodi da sciogliere (n. 8/2002, p, 11); Difetti e virtù della missione oggi (n. 17/2002, p. 5); I tranelli delle illusioni (n. 20/2002, p. 4).