CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE

 

CATTOLICI_IN POLITICA

 

Due preoccupazioni devono guidare l’impegno dei laici cattolici in politica: garantire la coerenza tra la propria fede e la vita e dare maggiore spessore culturale al loro impegno sociale e politico.

 

La Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici sulla vita politica pubblicata nel mese di gennaio u.s. a firma del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha sollevato reazioni di segno opposto negli ambienti cattolici e laici.

C’è chi ha salutato con favore il documento, come legittimo e opportuno richiamo dell’autorità ecclesiastica al dovere dell’impegno politico dei cattolici, fissando i criteri che devono guidare in questo ambito la loro presenza e la loro azione.

C’è, viceversa, chi ha giudicato la nota come una intromissione della chiesa gerarchica in un campo – la politica – considerato di esclusiva competenza dei laici.

C’è infine chi, applicando il documento alla ristretta situazione italiana, vi ha letto un tentativo anacronistico di ricondurre all’ovile unitario le “pecore” cattoliche disperse nei vari partiti.

A evitare letture riduttive e fuorvianti, è utile ricordare che la Congregazione per la dottrina della fede è uno strumento di governo della Chiesa universale. I suoi pronunciamenti, pertanto, riflettono normalmente situazioni e problemi delle chiese sparse in tutto il mondo e costituiscono un richiamo a operare in fedeltà alla propria vocazione cristiana, rispettando la retta dottrina e le esigenze etiche che da essa scaturiscono.

Un passaggio della nota sembra richiamare le spinte “occasionali” che hanno suggerito la pubblicazione del documento: “È avvenuto in recenti circostanze che anche all’interno di alcune associazioni od organizzazioni di ispirazione cattolica, siano emersi orientamenti a sostegno di forze e movimenti politici che, su questioni etiche fondamentali hanno espresso posizioni contrarie all’insegnamento morale e sociale della chiesa” (n. 7). “Analogamente alcune riviste e periodici cattolici, in certi paesi, hanno orientato i lettori in occasione di scelte politiche, in maniera ambigua incoerente, equivocando sul senso dell’autonomia dei cattolici in politica” (n. 7).

L’insieme del documento però riflette l’esistenza di temi che sono iscritti nell’agenda politica e perfino nei progetti legislativi di diversi paesi a regime democratico e che chiamano in causa “esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili”, quali ad esempio:

– la salvaguardia della persona nella sua integrità dal concepimento fino al suo termine naturale: l’aborto, l’eutanasia, i diritti dell’embrione umano;

– la tutela e la promozione della famiglia “fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso e protetta nella sua unità e indissolubilità”. In questo ambito appaiono inconciliabili con il pensiero cristiano sia il divorzio sia il tentativo in atto di equiparare giuridicamente alla famiglia le convivenze di fatto;

– la libertà dei genitori nell’educazione dei propri figli;

– la tutela delle persone, in particolare dei minori e delle donne, contro forme moderne di schiavitù;

– la libertà religiosa;

– lo sviluppo dell’economia in funzione del bene comune, nella salvaguardia della giustizia sociale, del valore della solidarietà e del principio di sussidiarietà;

– la promozione della pace, collegata con il rifiuto della violenza e del terrorismo, ricordando però che essa è “frutto della giustizia ed effetto della carità” (n. 4).

 

DENTRO UN MONDO

CHE CAMBIA

 

Tutti questi problemi esistono da tanto tempo. Viene perciò da domandare: perché richiamarli oggi in tutta la loro drammaticità? Si possono intuire una serie di spiegazioni

La prima è che viviamo in un mondo sempre più globalizzato, non soltanto sotto il profilo economico e finanziario, ma anche sotto quello culturale. I fatti, le idee, le scelte politiche operate nei vari paesi, anche se eticamente discutibili, diventano, in tempi reali, patrimonio conoscitivo mondiale comune. I fatti, si sa, hanno una loro intrinseca forza di persuasione, soprattutto quando vengono presentati come traguardi del progresso scientifico ed espressioni di civiltà e sono frutto di decisioni democratiche. Pertanto è sempre più difficile, per la gente ‘normale’ fare discernimento tra quanto è eticamente accettabile e quanto non lo è. C’è perciò necessità di evidenziare i criteri di giudizio.

In secondo luogo non va dimenticato che i cristiani oggi sono sempre più minoranza nel complesso della popolazione mondiale. Anche nei paesi dove il battesimo interessa la maggioranza della popolazione, i fedeli attivi sono pochi e sono sempre meno in grado di incidere sugli orientamenti culturali e soprattutto sulle grandi scelte politiche che toccano la vita e la morte, la giustizia, e la pace. Si pensi – per quanto riguarda il nostro paese – alle esperienze ormai lontane delle leggi e dei referendum sull’aborto e sul divorzio. La sola esistenza di una legge che consente questi comportamenti, crea in molte persone, anche cristiane, la convinzione che sono leciti.

Infine, è da ricordare la dispersione consolidata e irreversibile dei cattolici in politica: oggi essi sono inseriti in tutte le formazioni partitiche dall’estrema sinistra all’estrema destra. C’è il rischio evidente che la logica dell’appartenenza a un determinato schieramento, prevalga su altre considerazioni di tipo solidaristico ed etico. Eventuali scrupoli morali che insorgessero, verrebbero facilmente tacitati con le più svariate giustificazioni: le esigenze del bene comune, il dovere di scegliere il male minore, la legittima autonomia dei laici cristiani nelle scelte che riguardano la sfera economica e quella politica, la doverosità di operare secondo coscienza, in un contesto di pluralismo culturale. Il documento del card. Ratzinger ha voluto aiutare i cattolici a far chiarezza su una serie di orientamenti emergenti.

 

ALCUNI

PUNTI NODALI

 

I punti considerati ‘nodali’ sotto il profilo etico e perciò presi in considerazione nella Nota, riguardano sostanzialmente: il dovere dell’impegno politico dei cristiani, la corretta posizione di fronte al pluralismo culturale, il senso dell’autonomia dei laici, la collaborazione consentita di fronte a progetti politici e a proposte legislative negative.

Anzitutto viene ribadito il dovere dei cristiani, che vivono in una società democratica, di partecipare alla vita pubblica, non soltanto attraverso l’esercizio del voto, nella elezione dei legislatori e dei governanti, ma anche collaborando alla formazione degli orientamenti politici e delle scelte legislative funzionali al bene comune. Richiamando la dottrina del Vaticano II, il documento ricorda che la partecipazione alla vita politica costituisce un dovere al quale i fedeli laici non possono abdicare. Essi devono perciò attivarsi nella “difesa dell’ordine pubblico, nella promozione della pace, della libertà e dell’uguaglianza, nel garantire il rispetto della vita umana, nella protezione dell’ambiente, nello sviluppo della giustizia e della solidarietà”.

Due preoccupazioni devono guidare l’impegno dei laici: anzitutto essi sono chiamati a garantire la coerenza tra la propria fede e la vita, “unificando in una sintesi vitale gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici, tecnici... e i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione, tutto viene coordinato a gloria di Dio” (n. 9). Inoltre essi sono invitati a dare maggiore spessore culturale al loro impegno sociale e politico. Sarebbe infatti “insufficiente e riduttivo pensare che l’impegno sociale dei cattolici possa limitarsi ad una semplice trasformazione delle strutture. Se alla base non vi è una cultura in grado di accogliere, giustificare e progettare le istanze che derivano dalla fede e dalla morale, le trasformazioni poggeranno sempre su fragili fondamenta” (n. 7).

Il contesto storico culturale, nel quale i credenti oggi sono chiamati a operare, è caratterizzato da un certo relativismo culturale, che si esprime nel teorizzare e nel difendere il pluralismo etico e nel sancire di conseguenza la “decadenza e la dissoluzione della ragione e dei principi della legge naturale” (n. 2).

Tale pluralismo etico viene presentato come condizione per la democrazia: “Avviene così che, da una parte, i cittadini rivendicano per le proprie scelte morali la più completa autonomia, dall’altra, i legislatori ritengono di rispettare tale libertà di scelta, formulando leggi che prescindono dai principi dell’etica naturale, per rimettersi alla sola condiscendenza di certi orientamenti culturali o morali transitori, come se tutte le possibili concezioni della vita, avessero uguale valore” (n 2). In buona sostanza, secondo questa concezione, sono gli uomini che decidono sulla moralità dei comportamenti e tale moralità può cambiare da un periodo ad un altro, da un paese all’altro. Riecheggiano, in certo senso, le parole dell’antico tentatore della Genesi: “Mangiando il frutto proibito, conoscerete il bene e il male cioè deciderete voi ciò che è bene e ciò che è male”.

La libertà dei cattolici in politica non può certo essere fondata su questa visione relativistica che mette sullo stesso piano di verità e di valore tutte le concezioni sul bene e sul male. Il cristiano ha libertà di scegliere tra opinioni diverse, solo a condizione che esse siano compatibili con la fede e la legge morale.

D’altronde – sottolinea il documento vaticano – il relativismo morale nuoce alla stessa vita democratica. La democrazia non può essere concepita come qualunquismo. Essa “ha bisogno di fondamenti veri e solidi, ossia di principi etici che per il loro ruolo di fondamento della vita sociale non sono negoziabili” (n. 3).

 

Da questo fondamento si è aiutati a cogliere anche il vero significato di laicità e di autonomia dei laici. La laicità riconosciuta dalla chiesa sostiene l’autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa. La storia passata, e anche alcune situazioni tuttora esistenti, confermano anzi che l’identificazione tra legge religiosa e legge civile può condurre a “soffocare la libertà religiosa e persino a limitare o a negare altri inalienabili diritti umani” (n 5). Ma l’idea di laicità non può mai indicare autonomia dalla morale. La laicità indica in primo luogo l’atteggiamento di chi rispetta le “verità” che scaturiscono dalla conoscenza naturale sull’uomo che vive in società, anche se tali verità siano nello stesso tempo insegnate da una religione specifica, poiché la verità è una” (n. 6).

Il contributo che i cattolici possono e devono dare alla costruzione della vita sociale, non può non partire dalla concezione di persona, di società, di rapporti internazionali, di lavoro, di bene comune ecc., maturato nella loro coscienza ben formata. E tale concezione scaturisce necessariamente da un confronto con la propria fede, con la Parola rivelata e con l’insegnamento della Chiesa che interpreta la Scrittura.

Nell’esistenza dei cristiani non possono concepirsi quasi “due vite parallele”, da una parte quella “secolare”, dall’altra quella religiosa: “il tralcio radicato nella vite che è Cristo porta i suoi frutti in ogni settore dell’attività e dell’esistenza” (n. 8).

 

Quando dagli enunciati teorici si passa alla normale vita sociale, talvolta risulta difficile decidere la giusta linea da tenere. Come devono comportarsi ad es. i cattolici che siedono in parlamento di fronte a proposte di legge contrapposte ai principi della loro coscienza, perché ad esempio propongono l’aborto, l’eutanasia, le manipolazioni genetiche, il razzismo ecc.?

Il documento della Congregazione risponde a questo interrogativo, ricordando anzitutto che il primo dovere dei cattolici, anche in politica è il rispetto della verità e la fedeltà alla propria coscienza. Questo non significa però rifiutare categoricamente ogni collaborazione al cammino parlamentare, scegliendo di “ritirarsi sull’Aventino”.

Viene perciò richiamata la linea adottata nell’enciclica Evangelium vitae da Giovanni Paolo II, di fronte al tema dell’aborto: “Qualora non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista già in vigore o messa al voto, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all’aborto fosse chiara e a tutti no­ta, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limi­tare i danni di una legge e a diminuire gli effetti negativi, sul piano della cultura e della moralità pubblica” (n. 4).

 

POSSIBILI RICADUTE

PER IL CONTESTO ITALIANO

 

Il card. Camillo Ruini nella prolusione pronunciata al consiglio permanente della CEI il 20 gennaio u.s., affermava che lo studio approfondito della presente Nota, sarà assai utile sia per i cattolici impegnati in politica, sia per le comunità cristiane, e la divulgazione dei suoi contenuti aiuterà a superare equivoci radicati e, purtroppo, diffusi.

Rispondendo a questa suggestione, e tentando di approfondire il documento vaticano in un’ottica italiana, vengono spontanee tre riflessioni.

Anzitutto è necessario ricordare che il dovere di fare discernimento etico vale non solo per le leggi che offendono in maniera evidente i grandi valori della vita e della convivenza umana, ma anche per i provvedimenti che in maniera larvata, e perciò più insidiosa, si oppongono alla dignità e ai diritti delle persone, soprattutto se indifese, o che sono in contrasto con la visione cristiana della società, con il senso della giustizia, della solidarietà evangelica e dell’uguaglianza.

In questo senso la chiesa e i cristiani che sono in Italia sono fortemente interpellati anche da recenti orientamenti e provvedimenti legislativi. Si pensi ad esempio a:

 

– la legge sull’immigrazione: ispirata ad una filosofia “antisolidaristica e repressiva” – come ha affermato recentemente la Corte costituzionale – limita e ostacola il naturale ricongiungimento familiare. La stessa applicazione della legge, con i fortissimi ritardi registrati nelle pratiche di regolarizzazione, crea agli immigrati non pochi disagi. Ad es. chi avesse urgenza di rientro momentaneo in patria per problemi familiari o per la morte di un congiunto, in assenza della regolamentazione, non può uscire, pena il divieto a un successivo rientro.

Viene da domandarsi se i cattolici che hanno votato a favore della legge, abbiano avuto problemi di coscienza, nonostante le perplessità avanzate anche dalla CEI, in fase di dibattito parlamentare, o se invece non abbiano fatto prevalere su tutto la disciplina di schieramento politico;

 

– la stessa legge sul condono, varata per esigenze di bilancio, suscita non poche perplessità. Essa, al di là delle “buone” intenzioni, oggettivamente incoraggia i furbi e i disonesti e mortifica i cittadini che coscienziosamente hanno rispettato la legalità e adempiuto i loro doveri fiscali. Neppure, nel caso di queste decisioni socialmen­te diseducative, sono emerse crisi di coscienza nei parlamentari che hanno votato e in verità scarse reazioni si sono percepite anche nelle comunità cristiane;

– infine è all’attenzione di tutto il mondo il problema della pace,. La ipotizzata “guerra preventiva” è stata esplicitamente condannata dal papa e il suo legato, il vescovo mons. Renato Raffaele Martino non ha esitato a qualificarla “guerra di aggressione”.

Quale atteggiamento terranno i parlamentari cattolici, nel caso in cui il governo italiano decidesse di collaborare con gli USA nell’attacco all’Iraq?

 

Un secondo rilievo di carattere pastorale riguarda l’esigenza di aiutare i cattolici impegnati in politica a maturare, al di là degli schieramenti politici, un orientamento comune, nelle decisioni importanti che sollevano interrogativi etici. In numerose occasioni, e specialmente nelle tre grandi assemblee ecclesiali italiane (Roma, Loreto, Pelermo) è emersa la proposta alle diocesi di creare luoghi di incontro, per i cristiani impegnati in politica, con l’obiettivo di aiutarli a confrontarsi con i valori dell’insegnamento sociale della Chiesa e anche per dare un “segnale” che la collocazione in partiti diversi non deve spegnere il dialogo e la carità tra quanti si richiamano alla medesima ispirazione cristiana. Lodevoli iniziative si sono registrate negli ultimi anni: purtroppo si tratta di fatti isolati.

Infine resta aperto il problema della formazione dei cristiani a una partecipazione attiva alla vita politica. Molti di essi, anche praticanti, forse perché delusi da precedenti esperienze, si sono rifugiati nell’impegno assistenziale e nel volontariato, e hanno abbandonato l’impegno politico.

Deve crescere la coscienza che l’amore ai poveri deve sempre collegarsi con l’impegno di rimozione delle cause della povertà, e che ciò è possibile solo attraverso l’attuazione di adeguate politiche sociali. Il territorio pertanto – il buon funzionamento dei servizi sociali, della sanità, della scuola, la difesa dell’ambiente – rimane spazio privilegiato della testimonianza cristiana. E la comunità presente nel territorio ha il dovere di vigilare, evitando la tentazione della delega in bianco, affinché i rappresentanti eletti dal popolo, operino in conformità con i grandi valori etici, indispensabili al perseguimento del bene comune.

 

Giuseppe Pasini

già direttore della Caritas Italiana