UNA DELICATA QUESTIONE

 

IMMIGRATI:_LAVORATORI E CITTADINI

 

IL XII Dossier statistico Immigrazione 2002 della Caritas Italiana ci aiuta a conoscere meglio un fenomeno ormai strutturale nella nostra società e a comprendere che l’immigrato non è solo un lavoratore ma anche un cittadino.

 

Di recente è stato presentato il XII Dossier statistico Immigrazione 2002, curato dalla Caritas Italiana, dalla Fondazione Migrantes e dalla Caritas di Roma: un appuntamento ormai “ordinario” per una conoscenza del fenomeno migratorio in termini non solo statistici ma anche umani ed etici.

La presentazione del Dossier avviene all’indomani della conclusione del confronto politico sulla riforma della normativa nazionale (cf. la presentazione dell’XI Dossier in Testimoni 5/2002, 16–18) e mentre si chiude la macchina della regolarizzazione di assistenti familiari e altri dipendenti. La legge Bossi–Fini (30/7/2002, n.189) concentra l’attenzione sull’immigrato come lavoratore e presenta una forte analogia, anche se con aspetti più restrittivi, con l’impostazione della prima legge sull’immigrazione (943/1986). Ora se è vero che il lavoro è uno degli aspetti preminenti e può favorirne la comprensione, va pur sempre ricordato che non esaurisce la realtà del fenomeno migratorio, dal momento che l’immigrato è anche un cittadino portatore di bisogni socio-culturali.

 

IL MERCATO

OCCUPAZIONALE

 

Dunque guardiamo innanzitutto il mercato del lavoro. In Europa occidentale i disoccupati sono 20 milioni, dei quali più di due milioni in Italia. Le forze lavoro in Italia sono 23.781.341. Gli occupati sono 21.514.000: il 63% è inserito nei servizi, il 32% nell’industria e il 5% in agricoltura. Le persone in cerca di occupazione sono 2.267.000 (il 9,5% delle forze lavoro). A essere maggiormente soggetti alla disoccupazione sono la fascia 25-29 anni (21,2%) e quella 15-24 anni (28,2%): una situazione allarmante. L’Istat descrive un mercato caratterizzato da una flessibilità spinta, nel quale il 30% dei rapporti di lavoro dipendente ha una durata inferiore a un mese e il 58,8% una durata inferiore a un anno. Facendo la media dell’ultimo triennio si può calcolare che si creano 390.000 nuovi posti l’anno.

Nel corso del 2001 i flussi lavorati­vi sono stati così caratterizzati: 4.743.650 assunzioni (467.304 extracomunitari), 4.297.205 cessazioni dei rapporti (378.856 extracomunitari) e 446.445 saldi tra assunzioni/cessazioni (88.448 extracomunitari). L’incidenza dei lavoratori extracomunitari è del 9,9% sul totale delle assunzioni, dell’8,8% sul totale delle cessazioni e del 19,8% sui saldi tra assunzioni/cessazioni dei rapporti. Uno ogni 10 assunti è un lavoratore extracomunitario, mentre uno ogni cinque posti perduranti a fine anno spetta a un immigrato. In altre parole, questi lavoratori (il 3% del totale delle forze lavoro), in confronto con quelli italiani, vengono assunti con più frequenza e con maggiore facilità vengono tenuti in attività. Per numero di assunzioni troviamo ai primi posti Albania e Marocco, che superano le 45mila unità; seguono Romania e Svizzera (28mila e 20mila assunzioni) e poi altri 5 gruppi: la ex-Iugoslavia e la Tunisia (circa 17mila assunzioni), il Senegal e la Cina (entrambe 13mila), la Polonia (10mila).

 

ALTRI DATI

SIGNIFICATIVI

 

Sono 227.249 le collaboratrici e i collaboratori domestici assicurati presso l’INPS (dato 1999) e la metà è costituito da cittadini extracomunitari. In media vi è una collaboratrice/collaboratore familiare dichiarato all’INPS ogni 256 residenti ma in realtà la presenza è più numerosa. Ogni10 collaboratori/collaboratrici, 4 vengono dall’Asia (oltre 49mila per lo più dalle Filippine) e 2 all’incirca rispettivamente da Europa (quasi 19mila in maggioranza dai paesi dell’est), America (20.499, in larga parte dall’America Latina) e Africa (16.803, di cui 11.470 dall’Africa subsahariana). Oltre ai filippini (1 ogni tre colf) i gruppi più consistenti sono quello peruviano e quello dello Sri Lanka. E si può facilmente prevedere un incremento di queste presenze: su un campione di 5.398 ultrasessantacinquenni bisognosi di assistenza (indagine della Comunità di S. Egidio) il 13,3% usufruisce in maniera continuativa dell’assistenza domiciliare di persone straniere, per lo più senza permesso di soggiorno.

Un attento incrocio tra i dati INPS e INAIL consente di affermare che l’immigrazione non è sinonimo di evasione contributiva, perché nel triennio 2000-2002 sono stati circa 900mila, tra lavoratori dipendenti e lavoratori domestici, gli immigrati assoggettati a contribuzione.

I dati riportati dal Dossier aiutano a ridimensionare anche il tasso immaginario di disoccupazione degli immigrati. Il vero tasso di disoccupazione, calcolato come incidenza dei lavoratori soggiornanti per lavoro e privi di un posto sul totale dei permessi per lavoro dipendente e autonomo, è del 7,4% (di almeno due punti inferiore al tasso di disoccupazione generale italiano). Il vero problema è quello di attivare un collocamento più efficace che metta dinamicamente in contatto domanda e offerta. Numerose indagini empiriche hanno mostrato che è scarso il sostegno dei servizi pubblici per quanto riguarda il collocamento sia degli italiani sia degli immigrati e che in prevalenza si ricorre a canali informali. E ancora, i dati sulle adesioni degli immigrati ai sindacati confederali indicano che si è passati da 105.721 a 110.562 iscrizioni nella CISL, da 90.411 a 99.600 per la CGIL e da 27.500 a 29.500 nella UIL. Con questi valori si è largamente al di sopra dei tassi medi di sindacalizzazione degli italiani. Il ricorso al sindacato avviene per questi interessi prioritari: tutela dei diritti individuali sul lavoro, 55,9%; informazione sulla realtà italiana, 24,1%; soluzione dei problemi di regolarizzazione e di ricongiungimento familiare 37,8%. Proprio perché gli immigrati lavorano, sono in grado di sostenere con i loro risparmi le famiglie nei paesi di origine: le rimesse inviate dagli stranieri soggiornanti in Italia nel corso del 2001 sono state di 749,4 milioni di euro, con un aumento del 27,4% rispetto allo stesso flusso del 2000. In meno di 10 anni il loro volume è aumentato di ben sette volte (erano 103,2 milioni di euro nel 1992). Volendo tener conto anche degli altri beni inviati in patria si vede che il valore di questi flussi è tutt’altro che trascurabile.

 

DALLA PRESENZA ETNICA

ALLA SOCIETA’ INTERETNICA

 

Come si diceva all’inizio, questa riflessione sulla funzione degli immigrati per la nostra economia può aiutare a inquadrare il fenomeno nella sua globalità: sono indubbiamente braccia da lavoro ma prima di tutto persone! Perciò nell’introduzione al Dossier si esprimono motivate riserve sui contenuti della legge “Bossi-Fini”. Il punto non è la severità contro i trafficanti clandestini, che trova tutti d’accordo, bensì la rigidità mostrata nei confronti degli immigrati regolari.

È questo il tempo di mostrare agli immigrati innanzitutto un atteggiamento di solidarietà e di buon vicinato, adoperandosi per una più vasta e corretta sensibilizzazione dell’opinione pubblica; quindi è indispensabile assicurare una leale collaborazione alle istituzioni, sollecitandone un’applicazione meno restrittiva. Ma è anche il tempo in cui la politica deve recepire più adeguatamente la rilevanza strutturale assunta dall’immigrazione e le sue prospettive. A partire dagli anni 1970 la popolazione immigrata in Italia è raddoppiata ogni dieci anni. Alla fine del 1991 gli immigrati legalmente soggiornanti in Italia erano 648.935, alla fine del 2001 sono aumentati a 1.362.930. Tenuto conto di tutti i minori e dei nuovi nati, il numero complessivo sfiora le 1.600.000 unità con una incidenza sulla popolazione residente del 2,8% (1 presenza ogni 38 residenti). Considerando che molte persone sposate hanno lasciato i figli in patria, che altre devono ancora costituire una famiglia, che ogni anno c’è bisogno di nuove forze-lavoro è facile ipotizzare un futuro di maggiore immigrazione: potrà essere all’americana (incidenza degli immigrati del 10% sulla popolazione residente), alla canadese (incidenza del 16%) o alla svizzera (incidenza del 20%). Perciò, fatto salvo l’impegno di contrastare le forme di devianza, è tempo di abbandonare il pregiudizio che gli immigrati siano una massa di delinquenti.

L’apertura all’immigrazione deve realizzarsi da oggi perché l’immigrazione è una realtà in atto: nel 2001 i nuovi permessi di soggiorno per inserimento stabile sono stati 130.000 (la metà per ricongiungimento familiare), mentre nel 2002 non sono state previste quote di ingresso per motivi di lavoro, al di fuori di quelle riguardanti gli stagionali, e questo può avere influito sui flussi irregolari. L’immigrazione dunque come una dimensione strutturale e in pieno sviluppo esige una politica di accoglienza, di inclusione e di previsione. La difficoltà di tale politica migratoria consiste anche nel riuscire a far convivere, all’interno di uno stesso contesto societario, differenti tradizioni linguistiche, culturali, sociali, religiose. L’Italia è uno degli esempi più evidenti di policentrismo migratorio, perché sono rappresentati tutti i continenti con gruppi consistenti. Si è costituita una presenza scalare: ogni 10 presenze, 4 europei, 3 africani, 2 asiatici e 1 americano. Continuando la tendenza in atto, dopo l’adesione di alcuni paesi dell’est all’Unione Europea, la proporzione sarà di 4,5 europei e di 2,5 africani. La graduatoria delle nazionalità vede al primo posto Marocco con 158.000 presenze e Albania con 144.000, seguiti da Romania (75.000), Filippine (64.000) e Cina (57.000). Da ultimo sono aumentati i flussi dall’America Latina, a causa della grave crisi economica locale, e dall’Africa sub-sahariana dove la pressione demografica è molto elevata.

L’evento migratorio ha accelerato la storia e ha provocato un confronto culturale e religioso al quale non si era preparati. In questo contesto è inaccettabile – come spesso ha ribadito il papa – scatenare guerre di religione e invocare Dio per provocare divisioni tra i popoli e all’interno della stessa società. Anche l’Italia, centro del cattolicesimo, e l’Europa, continente segnato dall’eredità del cristianesimo, sono diventate irrevocabilmente realtà multireligiose. Per stimare l’appartenenza religiosa degli immigrati in Italia la fondazione Migrantes si basa sulle percentuali riscontrate nei paesi di origine. Risulta così che il 50% è costituito da cristiani (ogni 10 presenze 5,5 sono cattolici, 3 ortodossi, 1,5 protestanti); al secondo posto vengono i musulmani con il 35,4% e al terzo posto le religioni orientali con il 6,4%. In termini numerici ciò significa 660.000 cristiani, 488.000 musulmani e 88.000 fedeli di religioni orientali (con i minori queste cifre vanno aumentate del 20%).

Un ultimo richiamo che ci viene dal Dossier riguarda l’importanza di saper distinguere tra immigrazione irregolare e richiedenti asilo. Circa gli immigrati irregolari, il rigore (giustificato quando diretto verso i trafficanti di manodopera) dovrebbe essere temperato da una maggiore dose di umanità quando ci si rivolge a questi disperati, memori anche del nostro passato di emigranti. Nel 2001 più di 40mila sono stati respinti alle frontiere, e altri 34mila sono stati espulsi con effettivo accompagnamento. Vi è poi un numero imprecisato di persone che sono sfuggite ai controlli e vivono in situazione irregolare (300-350mila persone stimate): per loro sono stati varati i due provvedimenti di regolarizzazione, mentre in prospettiva si richiede una politica preventiva basata su una più solida collaborazione con i paesi di origine e sulla riapertura delle quote. Sorprende poi che, quando si parla di sbarchi, si pensa sempre a immigrati clandestini, dimenticando che molti di loro sono dei richiedenti asilo venuti per sfuggire a situazioni di gravissimo pericolo, come avviene per i curdi. I richiedenti asilo sono stati circa 10mila nel corso del 2001: la maggior parte delle domande presentate è stata respinta, mentre non bisogna dimenticare che molti tra essi non hanno interesse a fermarsi in Italia.

Mario Chiaro