UN FENOMENO IN ESPANSIONE IN CINA

 

PORTE APERTE_ALLE RELIGIOSE

 

Dal 1980 si assiste in Cina a una rinascita della vita religiosa femminile sul piano però solo diocesano, sotto l’autorità del vescovo. Si tratta di un fenomeno interessante ma che pone problemi nel campo del discernimento e della formazione.

 

La Cina è ancora lontana, anche per quanto riguarda la sua apertura al cristianesimo. Eppure, soprattutto dal 1980, è in atto un lento cambiamento anche nel campo della vita religiosa femminile. La conferma viene direttamente da un esperto della realtà religiosa cinese, il p. Jeroom Henyndrickx, dei missionari di Scheut; dopo una prolungata esperienza in Cina e nel continente asiatico, ha dato vita presso l’università cattolica di Leuven in Belgio alla “fondazione Verbiest” fra i cui scopi c’è anche quello della formazione delle religiose in Cina.1

Nel 1949, al momento dell’arrivo dei comunisti al potere, in Cina c’erano più di sette mila religiose. Un terzo erano straniere; tutte le altre, cinesi. Le straniere o se ne sono andate liberamente oppure sono state espulse. Una piccola parte di suore cinesi sono state esiliate a Taïwan, Hongkong o Macao. La maggioranza è rimasta in Cina. È iniziato per loro un lungo e drammatico calvario. In alcuni casi la chiusura dei conventi era già un fatto compiuto negli anni cinquanta. Le religiose sono state costrette a rientrare nelle proprie famiglie, a cercarsi un marito e un lavoro nella società. La situazione è peggiorata durante il decennio della rivoluzione culturale (1966-1976). Molte religiose restate fedeli alla propria vocazione sono state condannate ai lavori forzati nei campi o imprigionate.

 

CONGREGAZIONI UFFICIALI

E NON UFFICIALI

 

Nei primi anni 80 i vescovi hanno ottenuto l’autorizzazione ad aprire dei seminari e, nel 1985, anche i noviziati per le religiose. Il loro desiderio – considerata la loro età (sono tutti ultraottantenni) – è quello di avere nel più breve tempo possibile giovani sacerdoti e giovani religiose. Verso il 1990 si contano già più di cento case religiose. In alcune diocesi, soprattutto del nord e del centro, le vocazioni sono talmente numerose da non avere neanche gli spazi sufficienti per accoglierle. Attualmente, in Cina, ci sono circa duemila religiose.

Tutte le congregazioni religiose in Cina sono diocesane, sotto l’autorità del vescovo. Le congregazioni internazionali non sono ufficialmente ammesse, temendo una loro ingerenza indebita negli affari interni dello stato. Anche le varie nomine interne alle singole congregazioni vengono sempre fatte dal vescovo diocesano, limitando seriamente, in questo modo, l’autorità della superiora.

Non mancano a volte indebite ingerenze delle autorità civili locali nella nomina dei sacerdoti e delle religiose, creando in questo modo un ulteriore problema: se il vescovo accetta di buon grado questa ingerenza scontenta le persone interessate, se vi si oppone rischia di aggravare notevolmente la situazione. L’unica via d’uscita da questa delicata situazione è quella di rifarsi al diritto canonico, non sempre però facilmente applicabile nella concreta situazione cinese. Non esistono ancora congregazioni di vita contemplativa; i vescovi sperano che presto possano essere ammesse anche queste congregazioni. Oltretutto nel passato – e le autorità lo sanno molto bene – ci sono già state abbazie trappiste e benedettine in Cina.

Accanto alle congregazioni religiose ufficialmente riconosciute esisto­no anche congregazioni non ufficiali, nate cioè sotto l’autorità di vescovi “sotterranei” (una nozione, questa, che va attentamente relativizzata, dal momento che spesso, non sempre, non ha nulla a che fare con la “clandestinità” vera e propria). Anche queste seconde congregazioni hanno una visibilità pubblica, ma non sono ufficialmente riconosciute né registrate dalle autorità civili competenti. La situazione delle congregazioni non ufficiali è molto delicata; sono più facilmente esposte ai soprusi e agli abusi delle autorità civili che per altro insistono per la loro regolare registrazione.

In certi casi le autorità chiudono un occhio; altre volte, invece, vengono organizzate vere e proprie incursioni con l’arresto di religiose e dei cristiani, con il maltrattamento delle persone, la demolizione delle chiese e delle case di preghiera.

Questo ha fatto sì però che le comunità cristiane “sotterranee” siano giunte alla convinzione di essere loro la vera Chiesa cristiana, dal momento che la Chiesa di Cristo è quella che soffre: “Le chiese ufficiali, dicono, non soffrono affatto, noi invece sì; e questo sta a dimostrare che noi siamo la vera Chiesa e gli altri la falsa Chiesa”.

Di fronte a queste pretese che cosa si può onestamente rispondere? Oggi in Cina, osserva il direttore della “fondazione Verbiest”, esiste una sufficiente libertà per permette alla Chiesa di espandersi; se è vero che esiste ancora troppo controllo, oggi non è più necessario né saggio continuare a vivere in un conflitto permanente con il regime. Osservando la legge è forse più facile esigere anche il rispetto dei propri diritti.

Di fronte al numero crescente di candidate alla vita religiosa, si impone una grande opera di discernimento per individuare, fra le tante aspiranti, quelle più seriamente motivate. La maggioranza provengono da vecchi famiglie cristiane (tali anche da tre o quattro generazioni), relativamente povere. Spesso, però, la vocazione al sacerdozio o alla vita religiosa è vista nettamente come una forma di promozione sociale. Le giovani generalmente sono cresciute in scuole atee; la loro formazione religiosa è solo quella ricevuta in famiglia; è frequente il caso di giovani che entrano in convento ignorando completamente le più fondamentali nozioni della fede cristiana.

Le congregazioni “ufficiali” devono dimostrare di sostenere il governo, e cioè amare la patria e la Chiesa, appoggiando la politica governativa in vista della costruzione di una chiesa autonoma; secondo i vescovi questa “autonomia” va intesa più nel senso della “autosufficienza” che non della “separazione” da Roma.

 

IL PROBLEMA

DELLA FORMAZIONE

 

Uno dei problemi più gravi è sicuramente quello della formazione. Le congregazioni “ufficiali” sono nate per lo più in tempi molto recenti e non dispongono pertanto di persone adeguatamente preparate a questo scopo. Succede a volte che una suora con i soli voti temporanei venga nominata superiora generale. In alcuni casi, in assenza di religiose anziane, il vescovo in persona si incarica della formazione delle giovani, delegando al parroco del luogo il ruolo di “superiore”.

Spesso la superiora, nell’esercizio del suo compito, non può riferirsi ad una costituzione scritta; pur nella convinzione di trovarsi di fronte alla mancanza di regole fondamentali per la formazione religiosa, dal momento però, osserva p. Heyndrickx, che, per ora, non c’è altra strada, “questa non può essere che la strada migliore: quella del libretto cinese non ancora scritto, fatto di molte improvvisazioni, ma – secondo me! – ricco anche di una grande fiducia nello Spirito”.

Di fronte a tutti questi problemi le diverse congregazioni diocesane ufficiali si sono viste costrette a cercare urgentemente aiuto all’estero. Se negli anni 80 i contatti con le religiose di Taïwan e di Hongkong erano molto rari, dieci anni dopo le cose sono cambiate di molto. Alcune religiose dall’estero poco per volta hanno potuto incominciare ad entrare in Cina per dei ritiri, per delle conferenze spirituali e spesso per aiutare le congregazioni locali a redigere le proprie costituzioni. Non poche congregazioni sono così potute uscire dalla crisi nata spesso subito dopo la fondazione. Dopo gli anni ’90 molte religiose cinesi hanno incominciato ad apprendere qualche cosa sul concilio Vaticano II; una boccata d’ossigeno per la loro sopravvivenza.

Nel luglio del 1999 si è svolta la prima riunione nazionale delle superiore religiose, con venticinque partecipanti. Non esiste ancora ufficialmente la conferenza delle superiore religiose; le autorità civili non solo temono grandemente organizzazioni del genere, ma soprattutto si guardano bene dal coinvolgere i vescovi e le superiore religiose nella loro “politica” religiosa. Il tutto è gestito e pianificato dalla cosiddetta Associazione patriottica, compresa la direzione della chiesa. Ciononostante molte religiose si sono potute recare a Hongkong e nelle Filippine per una formazione più seria, vivendo in una comunità, esperimentando la pratica della vita religiosa comunitaria.

Dal 1982 la “fondazione Verbiest” ha iniziato le ricerche sulla storia della Chiesa in Cina. Successivamente è stato aperto il Collegio cinese a Leuven per la formazione specializzata dei futuri responsabili per la Chiesa. Ma più importante ancora è il fatto di poter contribuire alla formazione delle religiose direttamente in Cina, anche se purtroppo in questi ultimi anni è diventato più difficile ottenere le necessarie autorizzazioni.

Nella provincia di Shaanxi si contano attualmente 400 religiose. Una metà ha solo la formazione elementare. Nei limiti del possibile con delle borse di studio si provvede al proseguimento degli studi. Le scuole secondarie in Cina sono a pagamento e i vescovi non dispongono dei mezzi necessari. Per questo qualcosa come 32 diocesi beneficiano di questo aiuto.

Nella provincia di Hebei nove congregazioni di religiose si sono accordate per coordinare la formazione, con un programma quadriennale; ogni anno cinque religiose di ogni congregazione si ritrovano per un mese intero. Nel corso di formazione e in questi incontri vengono trattate materie relative soprattutto alla vita consacrata e alla spiritualità religiosa; una sessione annuale d’un mese riunisce cinque religiose di ogni congregazione. “Investire nella formazione delle persone, conclude p. Heyndrickx, è per noi la priorità maggiore”, con la comprensibile grande soddisfazione dei vescovi e di tutte le congregazioni religiose attualmente operanti in Cina.

A. A.

1 Vie consacrée, luglio-agosto 2002.