IL PAPA SU SAN FRANCESCO DI SALES

 

FONTE DI LUCE
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L’8 dicembre è stato festeggiato il quarto centenario dell’ordinazione episcopale di san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa, «una delle più grandi figure della Chiesa e della storia», come ebbe a definirlo Paolo VI.

Per l’occasione, il papa ha inviato al vescovo di Annecy, mons. Yves Boivineau, una lettera in cui traccia un ricco profilo di questo santo, la cui figura continua a esercitare un grande fascino anche oggi, su molti nostri contemporanei. Sono inoltre numerosi gli istituti e le congregazioni che a fondamento del loro carisma la spiritualità di questo santo e la traducono in una grande varietà di sfumature e di iniziative. Non ci pare perciò fuori luogo riprendere la parte essenziale della lettera del papa e di riproporla anche ai nostri lettori.

 

«Sacro “principe vescovo di Ginevra”, l’8 dicembre 1602, colui che il re Enrico IV chiamava in maniera elogiativa “la fenice dei vescovi”, poiché diceva, “è un uccello raro sulla terra”, dopo aver rinunciato ai fasti di Parigi e alla proposta del re che voleva donargli una sede episcopale importante, divenne il pastore e l’evangelizzatore instancabile della sua terra savoiarda, che amava sopra ogni cosa, poiché, ammetteva, “sono savoiardo in tutti i sensi, per nascita e dovere”. Lasciandosi guidare dai Padri della Chiesa, attingeva dalla preghiera e da una grande conoscenza meditata della Scrittura la forza necessaria a compiere la sua missione e guidare il popolo di Dio.

Consigliere di papi e di principi, dotato di grande qualità spirituali, pastorali e diplomatiche, Francesco di Sales fu un uomo di unità in un’epoca in cui le divisioni costituivano una spina nel fianco della Chiesa. Si preoccupò in modo particolare di ristabilire l’unità della sua diocesi e di mantenere la comunione nella fede, fondando la sua azione sulla fiducia in Dio, sulla carità che può tutto, sull’ascesi e sulla preghiera, come sottolineò in un autentico discorso programmatico subito dopo la sua ordinazione sacerdotale, poiché è così, diceva, che si deve vivere la regola cristiana e che ci si comporta veramente come figli di Dio. Spiegherà in seguito ciò che è in verità la carità teologale: «La carità è un amore di amicizia, un’amicizia di dilezione, una dilezione di preferenza, ma di preferenza incomparabile, sovrana e soprannaturale, che è come un sole in tutta l’anima per abbellirla con i suoi raggi, in tutte le facoltà spirituali per perfezionarle, in tutte le potenze per moderarle, nella volontà, come sua sede, per risiedervi e farle prediligere e amare il suo Dio sopra ogni cosa».

Avendo come modello san Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, s’impegnò a diffondere con fedeltà e inventiva l’insegnamento del concilio di Trento e a metterne in opera le disposizioni pastorali, Riorganizzò la sua diocesi, che visitò totalmente in due riprese, soffrendo nel proprio cuore per la dolorosa situazione di Ginevra, sua sede episcopale che era passata alla Riforma calvinista. Si preoccupò di formare sacerdoti, in particolare organizzando per essi delle conferenze mensili per dare alle pecore senza pastore dei pastori misericordiosi, capaci di insegnare il mistero cristiano e di celebrare sempre più degnamente i sacramenti dell’eucaristia e ella riconciliazione. Ebbe particolarmente a cuore di far scoprire al clero e ai fedeli che la penitenza è un momento di incontro con l’amore del Signore, il quale accoglie tutti coloro che gli chiedono umilmente perdono. Si preoccupò anche di riformare gli ordini monastici, come scrisse a papa Paolo V nel novembre 1606.

Dottore dell’amore divino, Francesco di Sales s’adoperò incessantemente affinché i fedeli accogliessero l’amore di Dio, per viverlo in pienezza, volgendo il loro cuore a Dio e unendosi a lui. Fu così che, sotto la sua guida, numerosi cristiani intrapresero la via della santità. Egli mostrò loro che tutti sono chiamati a vivere un’intensa vita spirituale, qualunque sia la loro situazione o la loro professione, poiché la Chiesa è un giardino reso variopinto da fiori infiniti, gliene occorrono dunque di diverse grandezze, di diversi colori, di diversi profumi, insomma di diverse perfezioni. Poiché tutti hanno il loro prezzo, la loro grazia e il loro splendore, e insieme, nell’unione delle loro varietà fanno una perfezione molto gradevole di bellezza.

Uomo di bontà e dolcezza, che sapeva manifestare la misericordia e la pazienza di Dio a quanti incntrava, propose una spiritualità esigente, ma serena, fondata sull’amore, poiché amare Dio “è la somma felicità dell’anima per questa vita e per l’eternità».

Con grande semplicità formò ogni persona alla preghiera adorante: «Deve prostrarsi dinanzi a Dio e restare lì ai suoi piedi; egli comprenderà, attraverso questo umile atteggiamento che è sua e che vuole il suo aiuto, anche se non è in grado di parlare”.

S’impegnò a condurre le anime fino ai vertici della perfezione, preoccupato di unire le persone attorno a ciò che è al centro dell’esistenza, la vita di intimità con il Signore, mediante la quale l’uomo può ricevere la perfezione e divenire migliore. Si preoccupava di permettere a tutti di ritornare a Cristo e di ripartire da Cristo per condurre un’esistenza buona, poiché Dio ha dato a ciascuno di governare le proprie facoltà, che è opportuno porre sotto il primato della volontà.

Come santa Giovanna de Chantal, potessimo anche noi ascoltare le sue esortazioni a essere fedeli alle meditazioni sulla vita e sulla morte di Cristo: è la porta del cielo. Meditandole spesso, impareremo a conoscere i tesori che contengono. L’anima deve restare nella contemplazione della croce e nella meditazione della passione. La perfezione consiste nell’essere conformi al Figlio di Dio, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo, in perfetta obbedienza. «Il perfetto abbandono nelle mani del Padre celeste e la perfetta accettazione in quel che riguarda la divina volontà sono la quintessenza della vita spirituale… Qualsiasi ritardo nella nostra perfezioni deriva solo dalla mancanza di abbandono ed è certamente vero che bisogna iniziare, proseguire e concludere la vita spirituale a partire da lì, imitando il Salvatore che ha realizzato ciò con straordinaria perfezione, all’inizio, durante e al termine della sua vita».

Fu anche attraverso un carteggio particolarmente ricco che accompagnò, con grande delicatezza e una pedagogia progressiva adattata a ogni situazione, servendosi felicemente di immagini molto colorite, le anime che si affidavano alla sua direzione spirituale, affinché ogni buon atto e ogni vittoria sul peccato fossero come «pietre preziose (che) saranno poste nella corona di gloria che Dio ci prepara nel suo paradiso».

Siccome era appassionato di Dio e dell’uomo, il suo sguardo sulle persone era fondamentalmente ottimista e non mancava mai di invitarle, secondo la sua espressione, a fiorire là dove erano state seminate. Ancor oggi, e me ne rallegro, le opere di Francesco di Salesi fanno parte della letteratura classica; è il segno che il suo insegnamento sacerdotale ed episcopale trova un’eco nel cuore degli uomini e soddisfa le loro aspirazioni profonde…

Come non ricordare in questa circostanza santa Giovanna de Chantal, assieme alla quale fondò l’ordine della Visitazione santa Maria, desideroso di proporre, in modo originale e innovatore, uno stile di vita religiosa aperto al maggior numero di donne possibile, che mettesse al primo posto la contemplazione.

Rendendo grazie per la testimonianza di vita sacerdotale ed episcopale dell’apostolo del Chablais, come pure per le sue opere, prego il Signore di far sorgere nel mondo d’oggi un numero sempre maggiore di uomini e donne che sappiano vivere la spiritualità salesiana e proporla ai nostri contemporanei, affinché tutti abbiano “una fede vigile” che «fa non solo buone operazioni, ma che penetra anche e comprende con finezza e prontezza le verità rivelate» per trasmetterle al mondo.

Infine, il mio auspicio è quello del dottore dell’amore divino: Dio solo sia il vostro riposo e la vostra consolazione».