IL PAPA VOCE CHE GRIDA NEL DESERTO

 

SILENZIO DI DIO
O SORDITÀ DELL’UOMO?

 

Giovanni Paolo II ha proposto una tragica descrizione del mondo d’oggi, che tutti però dobbiamo riconoscere vera e attuale, in cui guerra e fame si stanno spartendo la terra. Egli ha parlato
come un profeta.

 

 

Ancora una volta Giovanni Paolo II ci ha colto di sorpresa. Nel corso dell’udienza generale di mercoledì 11 dicembre 2002, nel silenzio dell’aula Nervi ha pronunciato parole molto forti per richiamare il mondo distratto alla realtà e alla sua responsabilità. Lo ha fatto prendendo le mosse da quel testo di Geremia che si legge nelle Lodi di venerdì della terza settimana (Ger 14, 17-21), il “Lamento del popolo in tempo di fame e di guerra”: «Se esco in aperta campagna, ecco i trafitti di spada; se percorro la città, ecco gli orrori della fame» (v. 18).

È stato un chiaro monito rivolto a coloro che, sulla scena internazionale, fanno poco o nulla per rendere più umana la nostra terra all’inizio del terzo anno del nuovo millennio. Le attese quasi millenaristiche che hanno accompagnato l’inizio del secolo si sono rivelate subito effimere e retoriche. E allora Giovanni Paolo II ha proposto una tragica descrizione del mondo d’oggi, che tutti però dobbiamo riconoscere vera e attuale, in cui guerra e fame si stanno spartendo la terra sotto gli occhi di tutti. E il papa ha commentato: «Un canto amaro e sofferto quello che il profeta, dal suo orizzonte storico, fa salire fino al cielo». E continuando ha affermato che questo lamento è provocato «da un flagello che spesso colpisce la terra del vicino Oriente: la siccità. Ma a questo dramma naturale il profeta ne intreccia un altro non meno terrificante, la tragedia della guerra: la descrizione è purtroppo tragicamente attuale in tante regioni del nostro pianeta».

 

SIAMO MAESTRI

NEL DIMENTICARE

 

Nulla di più vero, aggravato anche dal fatto che i mass media ce lo mettono sotto gli occhi ogni giorno. Eppure sembra che noi, popoli dell’opulenza, non ce ne preoccupiamo troppo. Per noi missionari e religiosi che abbiamo fratelli e sorelle nel sud del mondo, queste affermazioni sono di lapalissiana evidenza. Siamo testimoni della verità di questa parola del papa e cerchiamo di farla conoscere al nostro mondo che invece cerca di dimenticarla e di farla dimenticare.

Non è bastato il disastro dell’11 settembre 2001, quello di Bali dell’ottobre 2002, quello di Kaduna in Nigeria lo scorso novembre. Noi siamo maestri nel dimenticare. Il papa ha ulteriormente spiegato e motivato questa dimenticanza ed è stato proprio questo che ha suscitato la riflessione – appropriata, ma più spesso scomposta – dei giornali e dei mass media. Infatti il papa ha aggiunto: «Oltre alla spada e alla fame c’è una tragedia maggiore, quella del silenzio di Dio, che non si rivela più e sembra essersi rinchiuso nel suo cielo, quasi disgustato dell’agire dell’umanità».

Sorpresa, interrogativi e disgusto hanno scosso le coscienze di solito indifferenti a questo genere di problemi: cosa voleva dire il papa? Ha forse Dio dimenticato la sua misericordia? Dio smentisce forse la sua natura di «misericordioso e pietoso, lento all’ira e grande nell’amore» (Es 34,6)? Per un giorno (ma solo un giorno …) i giornali sono stati pieni di queste domande con le risposte che tutti abbiamo letto. C’è chi ha capito che il silenzio di Dio domanda una «fede paradossale ed estrema», come Massimo Cacciari su La Repubblica del 12 dicembre u.s., e chi invece vede «un papa assediato da demoni di plastica» (Giuliano Zincone sul Corriere della Sera dello stesso giorno).

Credo che dobbiamo una grande riconoscenza a questo papa che, pur nella fragilità e nella debolezza che lo caratterizzano in questo momento, è l’unica voce che si alza a ricordare al mondo il «mistero dell’iniquità» che si sta consumando sotto gli occhi di tutti nell’arroganza di chi pretende di decidere le guerre e nella leggerezza qualunquista di chi le sta a guardare alla televisione come si guarda un’incontro di pugilato, seduti in poltrona.

Pochi giorni prima del discorso del papa, il telegiornale dava una notizia che – se vera – è un’autentica disfatta del diritto internazionale: il premier britannico avrebbe detto che la guerra a Saddam Hussein si farà «anche in assenza di una risoluzione dell’ONU» e il giorno dopo il presidente degli USA, con estrema leggerezza, ipotizzava l’uso della forza nucleare contro l’Irak.

 

L’ARROGANZA

DEL POTERE

 

Chi consente a questi signori di disporre della vita di milioni di persone? Di dichiarare guerra a chiunque si oppone ai loro progetti? Ma quello che più lascia allibiti è il silenzio quasi tombale che accompagna queste affermazioni deliranti. Nessuno osa alzarsi e dire a questi signori che non hanno alcun diritto di prendere queste decisioni sulla pelle degli altri. L’unica voce profetica che osa opporsi ai potenti di oggi è quella del papa, anziano e ammalato. Il resto del mondo e della Chiesa sembra afflitto da un’ impressionante afasia. Per questa ragione Gino Strada, in procinto di recarsi a Bagdad, nel corso della stessa udienza, ha chiesto al papa di «insistere nei suoi appelli in favore della pace, di far sentire tutta la sua autorità e di far fermare questa guerra all’orizzonte» (in La Repubblica, 12 dicembre 2002, p. 13).

Di fronte al nostro mondo preoccupato solo degli interessi economici e finanziari, che sembra aver smarrito ogni riferimento etico di base, non dobbiamo tacere. Tutti, ma specialmente noi religiosi e missionari, testimoni del mondo povero e impoverito, ponti di comunicazione tra quel mondo e il nostro, non possiamo tacere, ma dobbiamo essere vigilanti e profetici. Non basta essere coscienti di queste tristi realtà, dobbiamo aver il coraggio di denunciarne la cause.

E le cause sono il nuovo ordine mondiale e la globalizzazione dell’egoismo portata alle sue estreme conseguenze, che trasforma il mondo in una giungla dove vince il più forte e soccombe il debole. Nel mondo della comunicazione rapida e istantanea, invece di vedere crescere la comunione e la solidarietà, notiamo un incredibile aumento di solitudine nelle persone e di contrapposizione e guerre tra i popoli. «Non è forse questa solitudine esistenziale – si è chiesto il papa – la sorgente profonda di tanta insoddisfazione, che cogliamo anche ai giorni nostri? Tanta insicurezza e tante reazioni sconsiderate hanno la loro origine nell’aver abbandonato Dio, roccia di salvezza».

Per questa ragione il silenzio di Dio «che non si rivela più e sembra essersi rinchiuso nel suo cielo, quasi disgustato dell’agire dell’umanità» accompagna come una «tragedia più grande» i flagelli che si stanno abbattendo sull’umanità: la spada, la guerra, la fame. L’umanità, almeno nelle nostre terre, sembra che abbia digerito e metabolizzato questo silenzio di Dio e la sua assenza, ma esso rinasce invece in comportamenti che sono contro l’uomo e contro l’umanità in generale.

Allora nel cuore dell’uomo, dove pure rimane sempre un inespresso desiderio di pace e di giustizia, nasce, al tempo di Geremia come oggi nel cuore di Giovanni Paolo II, questa domanda: «Hai forse rigettato completamente Giuda, oppure ti sei disgustato di Sion?» (Ger 14,19). Il rischio più grave, ci ricorda il papa, è di sentirsi «soli e abbandonati, privi di pace, di salvezza, di speranza. Il popolo, lasciato a se stesso, si trova come sperduto e invaso dal terrore».

 

HA PARLATO

COME UN PROFETA

 

La paura del terrorismo, alimentata da una violenza sempre più vasta e spettacolare, trova in noi un vuoto che non risuona se non in paurosi boati e in sentimenti di impotenza frustrante che non riusciamo a dominare. Giovanni Paolo II ha davvero parlato come un profeta, leggendo il tempo presente, e in particolare la spirale di violenza terroristica della Terra Santa e la guerra “annunciata” contro l’Irak, con gli occhi di Dio. «Tanta insicurezza e tante reazioni sconsiderate hanno la loro origine nell’aver abbandonato Dio, roccia di salvezza».

Dobbiamo accogliere questa parola del papa non tanto e non solo per continuare le discussioni sul Dio dopo Auschwitz (c’è ormai di peggio!), ma per renderci conto che siamo noi che stiamo cacciando Dio quando schiacciamo i poveri con le guerre, li condanniamo a morte con le sanzioni, li chiudiamo nei campi profughi, li condanniamo a fuggire, quando chiudiamo loro le nostre frontiere, o quando a casa nostra li trattiamo con la logica dell’«usa e getta» della nostra legge Fini-Bossi, quando il nostro tenore di vita sopra le righe consuma i beni della nostra terra, quando lasciamo che i nostri politici decidano la guerra e la partecipazione alla guerra anche contro la carta costituzionale. Siamo anche noi responsabili per questi disastri! E non è tragicamente ipocrita imporre i crocifissi nelle scuole e nelle aule giudiziarie, mentre non lo riconosciamo nei crocifissi viventi di oggi?

Guardiamo al nostro mondo che soffre per l’abbandono di Dio e finiamola di lasciar carta bianca ai politici che abbiamo eletto, che in nome dell’ordine e del progresso economico, seminano guerre e violenze. Sì, anche noi siamo terrorizzati e disgustati dalla follia di chi preferisce il terrorismo al dialogo, ma anche dalla follia di chi progetta la guerra preventiva e di chi si arroga il diritto di dichiarare quali sono gli stati buoni e amici e quali gli stati canaglia da perseguire in tutti i modi leciti e illeciti.

La strada della Chiesa, diceva Paolo VI, è il dialogo e con esso, secondo Giovanni Paolo II, l’uomo. Queste due strade vogliamo preferire e percorrere con ostinata tenacia e ferma speranza. Sono le strade di Dio. Non importa che il nostro linguaggio sembri a certi temerario o démodé, quando non sovversivo o reazionario. Ma non se ne può più di voglia di guerra in un mondo che invece ha bisogno di pane! Con la non violenza disarmata della mitezza evangelica che è più forte delle armi e delle terrore, alziamo la voce e denunciamo i crimini e le violenze perpetrate dai potenti della terra. La periferia del “villaggio globale” è destinata a essere campo di guerra e cimitero del mondo?

Per questo con tutti gli uomini di buona volontà vogliamo dire “basta” a coloro che stanno ricostruendo dei nuovi blocchi quando pensavamo che fossero stati abbattuti insieme al muro di Berlino. Ascoltiamo il papa che ci invita a convertirci e a ritornare a Dio: «Riconosciamo, Signore la nostra iniquità, abbiamo peccato contro di te» (Ger 14,20).

«Grazie, Giovanni Paolo, per il tuo coraggio», diciamo anche noi come ha scritto Misna, l’agenzia di notizie dei missionari italiani lo scorso 13 dicembre 2002.

 

Gabriele Ferrari s.x.